Germano Dottori, docente di studi strategici presso la Luiss-Guido Carli di Roma. Quale sarà la reazione degli Stati Uniti all’uccisione di Steven Sotloff?

Non cambierà nulla rispetto a quanto abbiamo visto fino a questo momento. Gli Usa continueranno ad attuare la stessa strategia utilizzata finora: i raid aerei saranno di supporto alle operazioni condotte a terra dalla fanteria costituita dai peshmerga curdi e da ciò che resta dell’esercito regolare iracheno, magari assistiti da qualche consigliere militare americano, come già accade. Non vedremo l’invio di alcun potente contingente terrestre statunitense.

Obama in patria è accusato di immobilismo e scarsa capacità decisionale. In questo modo presterà il fianco a ulteriori critiche.

Anche se comincerà ufficialmente soltanto dopo l’appuntamento elettorale con le mid-term elections di novembre in cui si rinnova parte del Congresso, negli Stati Uniti è già iniziata la campagna per le presidenziali. Il capo della Casa Bianca verrà criticato da chi vorrà mettersi in luce, come Hillary Clinton, e non potrà difendersi efficacemente. Perché la gran parte dei suoi successi, che sono molti e notevoli, Obama li ha ottenuti con metodi poco visibili, ricorrendo allo smart power. La sua amministrazione promuove attivamente il cambiamento, ma lo fa dando l’impressione che siano sempre forze locali a dirigerlo e controllarlo. Servono anche a questo le intercettazioni globali, che permettono di sapere in tempo reale cosa pensano interi popoli e magari di orientarli con le tecniche del marketing politico.

Un esempio?

Gli Stati Uniti hanno fatto in modo che l’Ucraina si sfilasse dalla sfera di influenza russa ed entrasse in quella dell’Occidente formando e sostenendo pochi agitatori, così che la paternità di ciò che è accaduto rimanesse di Kiev. Finché non si abbandonerà la visione secondo cui Washington è chiamata ad intervenire dal punto di vista militare nelle varie aree del mondo in cui si aprono delle crisi, non si riuscirà a capire il modo in cui ha deciso di operare l’attuale presidente degli Stati Uniti sul piano internazionale. Il metodo di Obama è diverso da quello utilizzato dai suoi predecessori. E, per tornare alle elezioni, Hillary Clinton, probabile protagonista della corsa per le presidenziali, ha già cominciato a criticare Obama, accusandolo di non avere una visione e di navigare a vista, secondo la logica dell’interesse immediato. Dispiacerà a molti, ma Obama non è un idealista. E’ al contrario un realista.

In Iraq Obama paga l’errore di aver lasciato il Paese prima che fosse pacificato?

Obama paga la scarsa determinazione dimostrata nel sostenere economicamente i Fratelli Musulmani e il governo di Mohamed Morsi in Egitto. Non ha preso sul serio la controffensiva saudita contro la Primavera Araba, che è stata condotta con dovizia di risorse e senza andare troppo per il sottile, finanziando di tutto. C’è sempre Riyahd anche dietro tutte le iniziative che sono state assunte per sabotare il dialogo che dovrebbe portare alla riconciliazione tra Iran e Stati Uniti. Con tutta probabilità, l’Isis ha fatto parte di questo disegno. Doveva contribuire a far cadere Assad, alleato di Teheran, proprio per mettere in crisi il nuovo Presidente Hassan Rouhani e compromettere ogni prospettiva di accordo. E’ per questo che Obama non ha bombardato la Siria lo scorso settembre: come avrebbe potuto mantenere aperta una finestra di trattativa con l’Iran dopo aver contribuito a farne cadere un partner strategico?

Nel frattempo Isis si è rafforzata e diffusa. E’ questo è il motivo per cui si sta verificando proprio ora questa recrudescenza jihadista in varie aree del Medio Oriente?

Non esattamente. E’ vero invece che l’Isis è solo una delle organizzazioni che hanno tratto profitto dalla volontà dei nemici delle Primavere Arabe di provocare una restaurazione generalizzata. E’ però quella che si è rivelata più forte e carismatica. Alimentando un preoccupante fenomeno di reclutamenti che interessa anche i convertiti europei all’Islam.

I jihadisti ora tirano in ballo anche il Regno Unito, minacciando di uccidere un ostaggio britannico. E’ ipotizzabile pensare ad una qualche reazione da parte di Londra?

Negli ultimi giorni il premier David Cameron ha autorizzato operazioni delle forze speciali britanniche, essenzialmente le temibili Sas, contro i gruppi che terrebbero in ostaggio cittadini inglesi. Il problema è che di norma queste iniziative non si annunciano. Se ne dà notizia solo dopo, in caso di successo naturalmente. Se si è fatto il contrario, probabilmente è perché il vero intento di Londra è quello di dare all’opinione pubblica la sensazione che il governo si sta muovendo per far fronte al pericolo. Nella stessa direzione va la proposta di ritirare il passaporto a tutti i sospetti jihadisti.

Ora il conflitto tra lo Stato Islamico e l’Occidente rischia di allargarsi?

E’ già molto largo e i miliziani Isis sono ovunque. In Libia sono spariti alcuni giorni fa 11 aerei. Nessuno sa chi li ha presi. Ma il Marocco, che è in alto nella lista dei Paesi che lo Stato Islamico vuol colpire, ha disposto un allerta senza precedenti. Nelle maggiori città del Paese è stata schierata l’artiglieria antiaerea. Anche da noi, c’è chi si preoccupa.

L’Europa è in pericolo?

A costituire un pericolo sono soprattutto i soggetti in possesso di un passaporto europeo, i bianchi e convertiti all’Islam in primo luogo, che sono più difficili da monitorare e potrebbero concepire delle agende nazionali ambiziose. Nessuno cercherebbe di imporci la sharia, perché non ci sono le condizioni per farlo, ma dalla polarizzazione delle minoranze musulmane potrebbe derivare la nascita di partiti politici islamici anche nel nostro Continente. Con gli esigui scarti che separano da noi maggioranze ed opposizioni, un Islam Politico Europeo che ottenesse anche solo il 3-5% dei voti potrebbe condizionare gli equilibri politici dei nostri Paesi in una direzione oggi imprevedibile. Le conseguenze sarebbero sicuramente rilevanti. Cambierebbe, ad esempio, di certo la politica estera adottata in relazione ad alcuni dossier. E forse anche qualche aspetto del diritto civile e del lavoro. Ma si tratta ancora di una prospettiva a medio e lungo termine”.

 

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