Finalmente si è tornato a parlare di giustizia. In attesa che si compia del tutto l’iter della riforma vorrei porre all’attenzione di chi mi legge uno o due quesiti. Un primo si sostanzia nel verificare, ancora una volta, come a fronte di una omogenea analisi dello stato della giustizia, le soluzioni si moltiplicano per il numero di cittadini italiani. Il secondo, conseguente al primo, investe il peso del connubio “ riforma – Berlusconi” che ha finito con l’estromettere dal dibattito una delle pecche gravi del sistema che di giustizia si occupa.

In merito ai sessanta milioni di possibili riforme della giustizia vale, banalmente, quello che vale per il calcio, per la fisica quantistica o per le nano tecnologie. Un tema alla portata di tutti. Per accelerare i processi che ci vuole? Si separa di qua e si allunga di la. O, al contrario, si accorcia di qua e si riunisce di la.

In un paese dove tutto il giornalismo è ormai fatto di sole opinioni e con una televisione che vede una classe dirigente avvitarsi in solide banalità, il meteorismo verbale che i social network rilanciano riuscirebbero a rendere cruenta anche una discussione sulla formula chimica dell’ossigeno. Non stupisce, quindi, se semplici proposte diventano scenari di guerra e motivo di battaglie epiche.

In tale logica mi permetto di suggerire un interessante libretto che potrebbe avanzare il livello di conoscenza di svariati migliaia di italiani che si insultano quotidianamente, spesso parlando di cose che non conoscono. Edito da Il Mulino e curato dal collega blogger e professore di diritto, Maurizio Barberis, è uscito qualche mese or sono una lunga conversazione con Luigi Ferrajoli. Il pregio di tale libello è duplice: Ferrajoli ha un curriculum immacolato in un paese dove l’accusa di alto tradimento è quotidiana: a maggiore ragione quando tale accusa investe temi come la legalità e, summa iniuria, la sacra magistratura. E’ stato magistrato anche lui e ha contribuito a fondare Magistratura Democratica. In seconda battuta parla a tutto campo di giustizia, e aggiunge un contributo particolarmente originale al conformismo di destra e di sinistra a cui è stato ridotto il dibattito su questo tema.

Tra le cose originali ve ne è una che potrebbe sottrarre, alla polemica tra bande, molti degli argomenti cari agli uni o agli altri: individua nella incapacità semantica del legislatore uno dei motivi della progressiva discrezionalità giudiziaria e amministrativa che, portata all’estrema conseguenza, fanno collassare lo stato di diritto.

Un rinnovato rigore semantico nella formulazione delle leggi (siano esse civili, penali, amministrative) diventa quindi una sorta di madre delle riforme se si vuole rifondare questo paese sul diritto e sui diritti e non sui privilegi e sull’arbitrio.

Efficace sintesi di quanto dico è nelle stesse parole utilizzate da Ferrajoli quando dice: “ la questione semantica del linguaggio legale è dunque pregiudiziale alla stessa tenuta dello stato di diritto e della democrazia. La legalità, infatti, in tanto è condizionante in quanto sia essa stessa condizionata: in tanto le norme giuridiche sono in grado di regolare i comportamenti delle persone, in quanto siano esse stesse regolate da una meta regola che ne imponga la tassatività e la determinatezza, e perciò la verificabilità e la falsificabilità delle tesi che ne enuncino le violazioni”.

Tuffarsi in questo libro ti fa dimenticare, per qualche ora, di vivere in Italia. 

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