Gli incentivi per l’autotrasporto non si traducono in uno stimolo concreto del settore. È quanto emerge dalla Relazione della Corte dei conti pubblicata lo scorso 5 agosto in merito alla gestione delle risorse per la realizzazione di misure di sostegno al settore per il 2012. La maggior parte dei quasi 2 miliardi l’anno (compresa la riduzione delle accise sul carburante) di incentivi trasferiti dalle casse pubbliche a imprese e “padroncini” sono infatti destinati alle spese correnti: sgravi sui contributi previdenziali e fiscali, credito d’imposta per le spese sanitarie, rimborsi dei pedaggi autostradali e risarcimento delle somme per l’utilizzo di navi. Attualmente la legge 183 del 2011 destina al settore 373,6 milioni di euro l’anno che si aggiungono a ulteriori forme di contribuzione a favore del settore, a partire dalla riduzione delle accise sul carburante, pari a 1,6 miliardi di euro nel 2012. 

L’analisi dei magistrati istruttori Andrea Liberati e Fabio Gaetano Galeffi si è concentrata sugli effetti negativi che derivano dal protrarsi degli incentivi, che nessun governo è riuscito a tagliare in modo corposo vista la forza politica e il potere di ricatto del settore. La prima conclusione è che “la destinazione assolutamente prevalente al rimborso di spese di esercizio si configura oggi quasi come protezionistica piuttosto che strumento di sviluppo di medio-lungo termine”. Di fatto, “gli ingenti aiuti al settore” sono “misure passive di sostegno, ormai strutturali nelle dinamiche produttive”. In particolare, “relativamente ai contributi per sicurezza e ambiente, si osserva l’assoluta prevalenza della destinazione al pagamento dei pedaggi (oltre il 90%), e, quindi, a spese correnti”. Mentre “per quanto riguarda il cosiddetto ‘ecobonus’ ben 98,2 milioni di euro sono stati utilizzati per il pagamento retroattivo dei pedaggi del 2010 (senza una destinazione utile per l’esercizio di riferimento)”. Inoltre, “risultano destinati 91 milioni di euro agli sgravi Inail”. Pertanto, “ben 121 milioni su 373,6 (pari al 32,3%) stanziati per il 2012 non sono effettivamente destinati al concreto stimolo del settore”. Oltre a queste criticità, per la deduzione forfetaria di spese non documentate c’è anche un altro problema: non è possibile quantificare gli sgravi fruiti dalle imprese. Di conseguenza risulta impossibile “la verifica del rispetto del tetto di aiuto triennale previsto dalla legislazione comunitaria”. 

In conclusione, i rimborsi destinati agli autotrasporti non sono allineati alle norme europee, difendono il protezionismo a scapito del libero mercato e non agevolano la crescita del settore. L’indagine, scrivono Liberati e Galeffi, è stata condotta per rispondere “alle esigenze di riduzione del costo del lavoro per far fronte alla concorrenza dei vettori extracomunitari, alla sicurezza della circolazione, alla protezione ambientale, all’attività formativa e alla decongestione del trasporto stradale attraverso la proroga di misure incentivanti l’impiego di percorsi alternativi”. Le osservazioni svolte, concludono i magistrati, “impongono una riflessione sulla reale utilità delle politiche di settore in un contesto in cui la quota del trasporto su strada è pari all’86%, contro il 14% del trasporto merci su rotaia”.

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