L’ipotesi era stata ventilata già a metà agosto. Allora, però, lo scenario delineato era quello usuale: il governo italiano che si muove dietro le quinte per chiedere alla Ue maggiore flessibilità sui conti pubblici. Da Bruxelles l’unica reazione era stata un gelido “no comment”. Ora invece, stando al retroscena di Repubblica, l’ipotesi di una moratoria di due anni sul taglio del debito che eccede il 60% del Pil è più concreta. Addirittura già sul tavolo del nuovo presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, con l’accordo dell’uscente José Manuel Barroso e del commissario ad interim agli Affari economici Jyrki Katainen. Seppure ancora nella forma di un option paper, cioè un documento informale che prende in considerazione più di una opzione per “mitigare l’austerità” che sta affossando la ripresa dell’Eurozona. In particolare, secondo il quotidiano di Largo Fochetti, le idee al vaglio sono due, ma entrambe hanno al centro un’attenuazione del Fiscal compact. La prima è identica a quella emersa nel cuore dell’estate e consiste nella possibilità di dimezzare, per tutti i Paesi che abbiano bisogno di più margini di manovra, la quota annuale di riduzione della “zavorra”: non più lo 0,5% l’anno dell’ammontare di debito che supera il 60% del prodotto, ma solo lo 0,25%. La seconda strada potrebbe consistere in un vero e proprio “congelamento di qualsiasi obbligo di risanamento per uno o due anni” a fronte però di riforme strutturali strettamente monitorate dalla Commissione. 

Il potenziale risparmio per l’Italia sarebbe, nel primo caso, di 4-5 miliardi. Che raddoppierebbero nel secondo. Con la conseguenza immediata di “alleggerire” di altrettanto la prossima legge di Stabilità, riducendola in modo considerevole rispetto alla cifra monstre di 25 miliardi verso cui sta lievitando. “Eviteremmo i rischi di infrazione”, commenta con Repubblica Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia. “Saremmo in grado di mantenere tutte le promesse, come il bonus, oltre a scongiurare tagli alle detrazioni fiscali”. Una prospettiva quanto mai auspicabile per Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan. 

Difficile però dire quante chance concrete possa avere uno scenario del genere dopo la notizia che Angela Merkel ha preso malissimo le aperture del presidente della Bce Mario Draghi a un ammorbidimento delle politiche fiscali e per rilanciare la crescita. E dopo il risultato delle elezioni in Sassonia, dove i populisti anti-euro della Alternative fur Deutschland (Afd) sono volati al 9,6% entrando per la prima volta nel parlamento del Land. Per di più Merkel deve fare i conti con il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, più rigorista della stessa cancelliera. Il tutto mentre secondo il Financial Times anche il mondo imprenditoriale tedesco inizia a storcere il naso di fronte all’inazione del governo, soprattutto dopo la notizia che nel secondo trimestre dell’anno il Pil di Berlino è calato, dato confermato proprio lunedì. Le indiscrezioni secondo cui la Cancelliera sarebbe disposta ad accettare la nomina di Pierre Moscovici a commissario per gli Affari economici e monetari della Ue aprono uno spiraglio di speranza, ma occorre tener presente che qualsiasi apertura sarà soggetta a paletti. Non è escluso, per esempio, che ai Paesi che beneficiassero della flessibilità sia imposto di sottoscrivere un vero e proprio impegno puntuale a intervenire sul mercato del lavoro e sulla tassazione per le imprese rendendola più favorevole. 

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