Il vincitore di questa sessione di calciomercato, ancora una volta, è Marco Borriello. Al 32enne centravanti è bastato un ottimo 2008 a Genova per garantirsi un’esistenza più che agiata. Borriello, al suo ultimo anno di contratto con la Roma, guadagnerà altri 3 milioni di euro nonostante da un pezzo non sia più nei piani della società. Come ogni estate i dirigenti giallorossi le stanno provando tutte: rescissione consensuale e buona uscita, rateizzazione, cessione al Cesena con il versamento di parte dell’inarrivabile cachet. Nel caso nessuna delle opzioni lo soddisfi, l’attaccante napoletano trascinerà tra panchina e tribuna il suo ingaggio milionario.

Borriello è uno degli ultimi sopravvissuti della categoria assieme a Philippe Mexes e allo juventino Pepe. Resistono alla piovosa estate del calcio italiano, che ha avuto l’unico imperativo di sbarazzarsi degli stipendi più pesanti. Lo scorso anno, per la prima volta dopo lungo tempo, il monte ingaggi complessivo della serie A scendeva sotto l’asticella del miliardo: la paga base dei giocatori si fermò a quota 912 milioni di euro, complessiva di bonus. E’ presto per fare calcoli sulla nuova stagione, ma la cifra sarà senza dubbio più bassa.

Tra i dieci calciatori più pagati del 2014 quattro hanno lasciato l’Italia. L’Inter di Thohir, asciugate le lacrime dei tifosi, si è sbarazzata di Milito, Cambiasso, Zanetti, Samuel e Chivu e ha abbattuto le uscite da un centinaio a 75 milioni circa all’anno. Con i sacrifici di Alvarez e, forse, Guarin la soglia è destinata a abbassarsi ancora.

“Io braccino? Non ho più nemmeno il braccio”, ha ironizzato un paio di giorni fa l’ad rossonero Adriano Galliani. Da anni il Milan, gravato da un debito di 375 milioni, porta avanti una politica di abbattimento dei costi, salvo concedersi il lusso di qualche operazione tra il propagandistico e il sentimentale. Ora il Diavolo è passato all’ultima fase della dieta, come testimoniano la cessione di Balotelli e i regali di Robinho e Kakà. Fernando Torres è un pannicello caldo per placare le ire dei tifosi: quanto sono lontani i tempi in cui c’erano sette cifre sulla busta paga di Digao, fratello meno noto di quest’ultimo.

Tra le big resiste la Juventus che, trascinata nel caos dall’addio di Antonio Conte, si è dovuta difendere dagli assalti stranieri ai suoi campioni. Non potrà fare il salto di qualità il Napoli, che attendeva l’esito dei preliminari di Champions per disegnare le sue strategie. La disfatta del San Mames impone un piano al ribasso. Il protagonismo della Lazio è una preziosa conferma della rivoluzione in corso nella geografia del pallone tricolore, ma l’esempio da seguire arriva dall’altra sponda del fiume.

Negli ultimi tre anni di il ds Walter Sabatini ha portato nelle casse della Roma quasi 70 milioni di euro di plusvalenze. Nel nuovo corso americano i giallorossi investono molto, ma hanno imparato a vendere bene. L’ultimo caso è quello di Benatia, spedito al Bayern Monaco per il doppio dei soldi versati un anno fa. In questo modo la Roma può permettersi l’ingaggio più oneroso di tutto il campionato (Daniele De Rossi guadagna 6,5 milioni netti a stagione) e non è costretta a mettere in discussione i 4 milioni che devolverà a Francesco Totti fino al suo quarantesimo compleanno.

I vicecampioni d’Italia hanno realizzato l’unico vero colpo di questo mercato: l’assegno staccato al Verona per Juan Manuel Iturbe vale 28,5 milioni di euro. Cifre che parevano abolite dal calcio nostrano, ma che assumono altre dimensioni se investite su un talento. Il campionato è ormai una tappa di passaggio nella carriera di un campione e la Roma ha capito che la valorizzazione di un giovane è la strategia migliore: un giorno, se tutto va bene, per lui busserà alla porta qualcuno con tanti soldi in banca. Su altra scala è il progetto che porta avanti da anni l’Udinese, mentre nessuno si è sognato di contestare il presidente del Torino Cairo per la cessione di Ciro Immobile al Borussia Dortmund. L’acquisto di Iturbe si colloca al fondo della top ten degli affari in Europa, dove Real, Barcellona e le big della Premier League hanno ormai dimenticato che esistono dei limiti.

Le cifre del portale tedesco Transfermarkt parlano chiaro: fino a una settimana fa la Serie A aveva speso 275 milioni di euro (l’anno scorso furono 470) per completare 1275 acquisti, mentre 700 cessioni hanno fruttato una quarantina di milioni in meno. Numeri esorbitanti che contengono ogni tipo di operazione, dal prestito dei giovani alle comproprietà, ma che rendono l’idea della schizofrenia del nostro sistema calcio. In Italia si conducono numerose trattative a costo basso o nullo, mentre in Inghilterra un quinto degli affari in entrata ha generato spese per 895 milioni di euro. É quasi il doppio rispetto alla Spagna, che tra i grandi tornei è l’unico con un saldo positivo tra entrate e uscite nonostante le follie fatte per Suarez e James Rodriguez.

Solidarietà, dunque, a tifosi e appassionati che hanno assistito per tutto agosto a ore di speculazioni su un parametro zero che forse un giorno arriverà. Prudenza e disillusione hanno contagiato anche il giornalismo sportivo: l’annuncio di Falcao alla Juve serve solo a regalare il brivido finale, forse a vendere qualche copia. Oggi si parte, bisogna almeno fingere un po’ di entusiasmo.

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