Anni e anni di silenzio arroccati nei propri “castelli”. Adesso l’arrembaggio ai gioielli di famiglia per troppo tempo dimenticati. Molti nobili stanno con sempre più frequenza rivendicando diritti su terreni o antichi possedimenti riconducibili – dicono loro – ai propri avi. Colpa anche della crisi? Potrebbe essere. L’Asni, Associazione storica della nobiltà italiana che tra i nobili conta circa 1.500 iscritti (“le famiglie nobili in tutta Italia sono circa 3 mila”), sottolinea: “La crisi l’abbiamo sentita moltissimo – conferma il segretario generale Marco Lupis (all’anagrafe Lupis Macedonio Palermo dei principi di S. Margherita Marchese don Marco) – in proporzione forse anche in maniera maggiore rispetto ad altre categorie. Ovviamente nessuno di noi muore di fame: quei nobili che però non sono stati lungimiranti adesso si trovano in difficoltà“. E si industriano: conti che rivendicano terreni o castelli dell’Ottocento, eredi di principi o granduchi che cercano di far valere contratti di origine medievale, discendenti di famiglie feudali che da un giorno all’altro spuntano fuori vantando diritti su antichi terreni: la cronaca degli ultimi mesi è ricca di simili episodi.

Donoratico, il conte della Gherardesca rivuole metà paese
A riaccendere i riflettori sulle richieste della nobiltà è stato nei giorni scorsi il conte Walfredo Della Gherardesca. Il 77enne, residente a Donoratico (Li), ha chiesto infatti nuovamente di rientrare in possesso dei circa 350 ettari di terreni che a metà Ottocento i Della Gherardesca avevano “affittato” alla comunità locale. La questione sarà affrontata dal tribunale di Lucca (la prima udienza è in programma il 31 ottobre): “Se il giudice desse ragione al conte perderemmo metà del paese” hanno tagliato corto dall’amministrazione locale. “La richiesta del conte? Legittima, ma un po’ anacronistica” dichiara Lupis.

Serradifalco, i discendenti del principe rispolverano l’enfiteusi 40 anni dopo
A fine 2013 è scoppiato un caso per certi versi simile a Serradifalco (Caltanissetta), comune di circa 6 mila abitanti nel cuore della Sicilia. A rivendicare i propri diritti sono stati due eredi del principe Antonio Licata di Baucina. A 40 anni dall’apertura del testamento, i signori Biagio e Francesco – riportava a febbraio da Il Giornale di Sicilia – hanno citato in giudizio il Comune “per ottenere le indennità di esproprio dei terreni su cui sono state realizzate opere pubbliche”. Secondo i due eredi in passato sarebbero stati indennizzati soggetti che non ne avrebbero avuto titolo. La stirpe Licata di Baucina – è la tesi dei discendenti – avrebbe infatti concesso tali terreni “in enfiteusi perpetua” e perciò gli indennizzi di esproprio spetterebbero a loro. In ballo – riferisce La Stampa – ci sarebbero “35 enormi proprietà del Comune, il 20% dell’estensione del paese“. A ciò si dovrebbero aggiungere “decine e decine” di terreni privati. Adesso si chiede un risarcimento milionario: “Pagate o restituiteci i nostri beni”. Il sindaco Giuseppe Maria Dacquì, interpellato da IlFattoQuotidiano.it, spiega: “L’amministrazione è pienamente proprietaria di quei terreni e gli espropri si sono esauriti da più di 20 anni: in ogni caso potremmo far valere l’usucapione”. Poi ironizza: “La rivendicazione degli eredi ha ben poco di nobile: mi sembra più una speculazione“. A quanto si apprende i Licata di Baucina non avrebbero neanche dimostrato “l’esatta trasmissione dei beni di generazione in generazione”. A quanto ammonta il loro valore? “Gli eredi non sono stati in grado di quantificarlo”. Il sindaco giura che “il Comune difenderà gli interessi della collettività con il cuore e con i denti”. Il nuovo appuntamento nell’aula di tribunale è in programma a inizio ottobre.

Circeo, gli eredi del barone pretendono la tassa sulle compravendite
Legato anch’esso a diritti di origine medievale è il caso di San Felice Circeo (Latina), città di 8 mila abitanti del litorale laziale amministrata dal sindaco Gianni Petrucci, ex numero uno del Coni e oggi presidente della Federazione Italiana Pallacanestro (Fip). Al centro della questione gli eredi del barone James Aguet e il “diritto di superficie” che continuerebbe a gravare sui terreni risalenti al loro nobile avo. Diritto che i discendenti del barone sono intenzionati a far valere. La conseguenza? I proprietari delle case costruite su questi terreni, nel caso in cui volessero vendere le abitazioni, dovrebbero corrispondere una somma di denaro agli eredi Aguet. Stesso ritornello nel caso di esproprio. La questione dei “livelli baronali” è arrivata all’attenzione delle cronache circa un anno e mezzo fa: “Gli eredi Aguet – dichiara a IlFattoQuotidiano.it il vicesindaco Egidio Calisi – han ritirato fuori questa ‘gabella’ dopo anni e anni di assoluto silenzio. La questione è estremamente complessa”. Quanto dovrebbe pagare un privato per estinguere il vincolo? “Cifre non trascurabili, parliamo di migliaia di euro”. E quanti sono i terreni? “Non dovrebbero essere molti – spiegano dall’Ufficio comunale Demanio civico – al momento però non abbiamo stime precise”. Calisi ha comunque precisato: “Nessuno dei terreni oggetto della controversia è di proprietà comunale: sono tutte proprietà private”. A quanto riportato nel maggio 2013 dal quotidiano locale LatinaOggi, i lotti interessati dalla vicenda sarebbero ormai divenuti “tra gli appezzamenti di terra di maggior prestigio in tutto il territorio comunale, con abitazioni vendute a cifre milionarie“. La conseguenza? Per l’estinzione del vincolo gli eredi Aguet chiederebbero “migliaia e migliaia di euro”.

Nel 2009 la pronipote di Federico II chiedeva indietro Castel del Monte
Nel settembre 2009 era invece saltata all’attenzione delle cronache nazionali la richiesta della principessa Yasmin Aprile Von Hohenstaufen, “discendente di Federico II di Svevia“. Il mirino della nobile puntò su Andria (Bt) e nello specifico sul medievale Castel Del Monte, patrimonio mondiale Unesco: “E’ in stato di estremo abbandono, ne chiedo quindi la restituzione“. L’allora sindaco Vincenzo Zaccaro parlò di “richiesta demenziale”, liquidando l’uscita della principessa a “grande trovata mediatica”. Tre anni più tardi la stessa si sarebbe anche fatta avanti per la reggia di Carditello, nel casertano. A destare scalpore fu anche la richiesta avanzata nel 2007 dai Savoia di rientrare in possesso dei beni che lo Stato aveva confiscato alla famiglia (a cui si sarebbero dovuti sommare 260 milioni di euro come risarcimento per l’esilio).

“I castelli costano, chi non investe è in difficoltà”
L’Asni cerca di far chiarezza sullo stato attuale della nobiltà e sui suoi problemi: “Molti nobili si sono trasformati in imprenditori e quindi hanno continuato a trarre beneficio dalla propria ricchezza. C’è però anche chi non è stato lungimirante e quindi si è trovato in grande difficoltà. Non dimentichiamoci che possedimenti non produttivi come castelli e tenute hanno alti costi di mantenimento”. Lupis però vuole precisare: “Le famiglie nobili che possono vantare un’importante ricchezza si contano ormai sulle dita di una mano. Nobiltà non fa necessariamente rima con benessere economico”. Il futuro della nobiltà? Secondo Lupis essa deve saper stare al passo con i tempi “e non arroccarsi su sé stessa”. Il direttore sottolinea inoltre come sia “ormai soltanto un luogo comune dire che la nobiltà sia conservatrice, di destra e nostalgica della monarchia”.

Ma l’Opera di San Giobbe aiuta i nobili sul lastrico
Sulla stessa lunghezza d’onda l’associazione “Vivant” di Torino che si occupa della valorizzazione delle tradizioni storico-nobiliari: “La nobiltà – precisa il presidente Fabrizio Antonielli d’Oulx – non è costituita da un nucleo omogeneo al suo interno. La maggior parte dei nobili ha saputo far fruttare le antiche proprietà di famiglia. Oggi esistono però anche persone che per colpa della crisi non ce la fanno a tirare avanti”. Alcune associazioni possono offrire un aiuto ai nobili in difficoltà: è ad esempio il caso dell’Opera di San Giobbe. L’associazione – si spiega sul sito della Vivant – nacque nel 1946 per aiutare quelle persone che “avendo conosciuto un certo benessere, si trovavano ora in situazione di grande povertà”. L’Opera San Giobbe continua anche oggi a occuparsi di famiglie “un tempo agiate” che però si sono ritrovate “in gravi condizioni finanziarie“: “Ancora adesso l’attuale situazione economica ne fa temere un preoccupante aumento”. 

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