A Roberto Colaninno i “tre salvataggi” di Alitalia, per i quali di recente ha chiesto “un riconoscimento”, continuano a costare cari. Dopo i 100 milioni già bruciati, i conti del primo semestre dell’anno della holding Immsi evidenziano infatti una nuova svalutazione per 40,8 milioni della quota del 10,19% detenuta nella compagnia aerea di cui Colaninno è presidente uscente, fresca di fidanzamento con Etihad. Di conseguenza la società ha registrato una perdita di 40 milioni rispetto all’utile di 4,3 milioni dello stesso periodo del 2013. I ricavi della holding che controlla Piaggio sono in calo da 695 a 655 milioni (682 a cambi costanti). Salgono però gli indicatori di redditività: il margine operativo lordo (Ebitda) è al 13,3% del fatturato, il risultato operativo al 6,7%. L’indebitamento finanziario netto del gruppo al 30 giugno è di 868 milioni rispetto ai 936 di fine marzo e agli 850 di fine 2013. 

Colaninno presiede Alitalia dal 2008, quando ha guidato la cordata dei 21 “patrioti” che, su impulso di Silvio Berlusconi, rilevarono la parte sana della società scaricando sulle spalle dei contribuenti la “bad company” con esuberi e debiti. Un’operazione costata agli italiani circa 3 miliardi di euro, ma di cui dopo l’accordo con gli arabi l’imprenditore mantovano ha rivendicato la bontà . Dicendo che “gli imprenditori che hanno partecipato a quel piano industriale con proprie risorse” hanno “garantito la continuità” del vettore di bandiera “con denari solo nostri e senza ritorni”. Di qui la richiesta di “un riconoscimento per l’enorme sacrificio”. 

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