Perché Della Valle, dopo aver sponsorizzato il Colosseo, possa mettere qualche milioncino anche nella scuola pubblica dei nostri figli, è necessario che ci sia un “ritorno”. E se il ritorno di immagine è del tutto evidente quando si parla di uno dei monumenti più conosciuti e frequentati al mondo, resta più nebulosa l’idea del ministro Giannini, secondo cui soldi privati dovrebbero confluire nella scuola pubblica (“Penso all’investimento delle imprese private nella scuola pubblica – ha detto al Meeting di Rimini -. È un tabù, ma una realtà in gran parte del mondo. Faccio anzi un appello agli imprenditori, anche medi e piccoli, perché intervengano nel finanziare, ad esempio, i laboratori. Abbiamo bisogno di strutture moderne, non di luoghi di antiquariato”)

Non è affatto chiaro quale sarebbe il ritorno di immagine per un imprenditore come Della Valle o simili. Fasciare la scuola con manifesti 6X3 di un paio di mocassini, dipingerla interamente di viola, o semplicemente considerarlo un mecenatismo personale con cui solleticare il proprio senso etico nei momenti di depressione? Se prendiamo a paradigma proprio i laboratori citati dalla ministra, sarebbe spiacevole che si mettesse automaticamente in moto una sorta di discriminazione valoriale, per cui sponsorizzare quei pochi di livello acclarato e lasciarne al loro destino la maggiorparte.

Non è nemmeno espressamente chiaro cosa intenda oggi il ministro per “pubblico”. Ne allarga i confini alle scuole private, questo è sicuramente evidente, a quelle almeno che offrono un servizio di alto livello alla collettività, per cui considerarle un bene di tutti, appunto (“Il rapporto con le paritarie si risolve insieme senza pregiudizi ideologici, che pesano più dei soldi”, sempre la Giannini).

La domanda che aleggia su questa ennesima riforma della scuola è sempre la stessa: c’è ancora una primazia della scuola pubblica, intesa come scuola statale, quella in cui – almeno teoricamente – il livello sociale ed economico delle famiglie non è elemento dirimente – e qui naturalmente non parliamo di una primazia morale ma esclusivamente della sua configurazione sociale -, oppure il governo, questo governo, ci sta certificando che tutte le scuole saranno considerate allo stesso livello in termini di attenzione?

Perché se questa seconda ipotesi è realistica, o addirittura già reale, tutta la montagna di giuste e legittime doglianze che rovesciamo quotidianamente sulla scuola statale – e che riguarda il livello dei programmi, le infrastrutture, le condizioni interne ed esterne degli stabili, la preparazione degli insegnanti, la modernità dei medesimi, e migliaia d’altre sollecitazioni – andrà posta come pre-condizione anche alle “private“.

Nel senso che in tutti questi anni di disastro della scuola, abbiamo concentrato i nostri sforzi di critica, di spinta propulsiva, di indirizzo, solo e soltanto sulle “pubbliche”, come se solo le pubbliche rappresentassero il senso vero del Paese. Migliorando quelle, ci siamo detti, migliorerà l’intero sistema. È stato un grave errore? Forse. Delle private sappiamo poco o punto, ce ne siamo occupati zero, ma anche i legittimi proprietari – che fossero preti o imprenditori della scuola privata – non ci hanno mai fatto sapere nulla. E come mai? Eppure avrebbero avuto tutto l’interesse, all’interno di uno sfascio acclarato delle scuole statali, a fare onesta e seria concorrenza, a mostrare sulla pubblica piazza i loro gioielli, a farci sapere quanto alto fosse il livello della loro didattica rispetto allo scempio pubblico, quanto virtuosa l’organizzazione sociale interna.

Invece niente, non hanno speso un euro sotto questo cielo, nessuna pubblicizzazione delle cose belle e buone, nessuno è riuscito a scavallare la solita collina del sospetto, lasciando che scorresse allegramente la vulgata dominante secondo cui in “quelle” scuole è più facile e più semplice ottenere “certi” risultati (questo per la gran parte dei licei privati, sulle università il discorso cambia un po’).

Questo aspetto dovrebbe farla riflettere, ministro Giannini. Nel senso che la grande riforma, la vera grande riforma, sarà quella di farci sapere il livello delle scuole, di tutte le scuole, quelle private e quelle pubbliche. In questo modo le potremo considerare “tutte” pubbliche. Lei ministro ci dovrà mettere nella condizione di scegliere attraverso una seria comparazione – programmi, tono degli insegnanti, curricula, ecc. – la scuola migliore per i nostri figli. È possibile in questo povero Paese avere una seria, severa, persino cinica scrematura delle scuole, in modo da capire in quali mani stiamo mettendo i ragazzi? Altrimenti, visto che parliamo di sponsor, l’ideuzza che mi balena per il cervello è semplice e rivoluzionaria: vendiamole direttamente ai vari Della Valle, che la facciano funzionare loro.

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