Passeggio per i vicoli della parte alta di Tagliacozzo, entroterra abruzzese: ampi panorami da un lato sull’abitato che protende verso valle, dall’altro sulla verdissima pineta che sta sotto la croce che domina la cittadina. In alto, verso i ruderi dell’antico castello, le rocce della “Cìota” (antica civitas) mi riportano in mente una storia vecchia di quasi trent’anni. Da Roma e da tutta la Marsica giungevano i primi rocciatori che avevano fatto di quelle pareti una delle prime palestra di arrampicata della zona.

Si formò una scuola di alpinisti che, negli anni successivi, avrebbero preso parte a molte spedizioni di successo in Italia e all’estero, fino alle vette supreme dell’Himalaya. Molti giovani del posto presero a misurarsi in quella nuova pratica sportiva. Capitò che a Remo Gaspari, ras della Dc abruzzese, in uno dei tanti rimpasti governativi toccò per caso il ministero della Protezione civile. La caduta di un masso diede l’occasione per dichiarare l’emergenza e attrarre un finanziamento di 7 miliardi di lire per imbrigliare le rocce. L’area fu chiusa e i rocciatori si spostarono in altri contesti. Visto che c’erano, i gaspariani rinsaldarono la maggioranza che sosteneva il Sindaco “accontentando” i consiglieri comunali di un paio di frazioni, dove andarono a cercare con il lumicino presunte rocce pericolanti.

Io che, nel mio piccolo, provavo a fare obiezioni venivo incolpato di andare contro gli interessi della comunità: erano comunque soldi che si spendevano nel territorio. Voglio ancora credere che lo facessero in buona fede: non conoscevano altri modi di “fare del bene”. Se avessero avuto il referente al Ministero della Sanità avrebbero chiesto i soldi per un’altra ala dell’ospedale da aprire inutilmente, per piazzarci il primario d’area. Quel che più contava era pagare i progettisti e le imprese amiche e dare lavoro a qualcuno. Col Ministero delle Poste fecero “favori” trasferendo le migliori risorse giovanili: un “posto alle poste” a Torino o in chissà quale altra città era il massimo che si potesse desiderare. Crearono una impressionante rete di pensioni e “accompagni” che, facendo avere soldi facili e sicuri ogni mese, alla resa dei conti mortificò ogni impulso all’attività economica.

È per questo che dico che la Democrazia cristiana ha fatto più danni di terremoti, bombardamenti ed emigrazione, depauperando irrimediabilmente le energie vitali delle genti abruzzesi. La nostra piccola realtà particolare rispecchiava, in scala, tendenze generali di tutto il centro-sud e oggi, ahimè, di tutto il Paese. Di quei soldi buttati stiamo pagando ancora oggi il conto e soprattutto ne risentiranno le future generazioni che, se non saranno capaci di invertire radicalmente la rotta, cresceranno in un contesto privo di prospettive.

Proviamo a sognare quale avrebbe potuto essere un utilizzo alternativo di quei 7 miliardi di fine anni ’80. Si sarebbe potuta rafforzare la caratterizzazione montana della nostra zona per farne, con le sue rocce a picco sull’abitato, un centro d’eccellenza del free climbing. Le case del centro storico, invece di esser svendute a chi viene a intasare il traffico nei pochi giorni intorno a Ferragosto per poi lasciarle chiuse il resto dell’anno, sarebbero state comprese in un sistema di B&B, pensioni e albergo diffuso in cui ogni famiglia e magari ogni giovane imprenditore avrebbe potuto ricevere fondi e contributi vincolati a ristrutturazioni eseguite a regola d’arte.

Per offrire agli ospiti la possibilità di raggiungere le vie di arrampicata a piedi, in un ambiente meraviglioso, semplicemente uscendo dalle abitazioni come fossero bivacchi d’alta quota. Intorno si sarebbe potuto creare un indotto di bar, locali e negozi di prodotti e materiali da montagna. E campionati e manifestazioni nazionali e un festival sulla montagna come quello di Trento e tante altre cose. Purtroppo, invece, ci tocca fare i conti con una società che non vuol farsi carico della crisi irreversibile che stiamo vivendo, non vuole fare i conti con il passato (anche quello recente che ha determinato in modo evidente la situazione attuale) e non sa guardare avanti. E anzi ci tocca sentire ancora chi addirittura rimpiange quei tempi di finanza allegra, in cui “almeno mangiavano tutti”. Una resa che rischia di deprimere ogni accenno di ripresa e che potrebbe spingerci, per non morire democristiani e tentare di mettere in salvo i nostri figli, a dirottarci verso un qualunque paese estero in cui di certo si troverebbe una situazione migliore.

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