Jorge Odón è un meccanico argentino, ma questa storia non ha niente a che vedere con macchine e motori. Quest’uomo, infatti, ha inventato un dispositivo che potrebbe semplificare i parti vaginali operativi. In un caso su dieci, infatti, la fase espulsiva del feto si prolunga eccessivamente, favorendo l’insorgere di complicazioni. I ginecologi possono allora adottare due soluzioni: il parto operativo, attraverso l’utilizzo del forcipe o della ventosa, oppure il cesareo d’emergenza.

L’Odón device, questo il nome dell’apparecchio, potrebbe essere una novità assoluta qualora si decida di procedere con il parto operativo, trattandosi di uno strumento che agisce in maniera meno invasiva sulla madre e sul bambino. Il dispositivo è realizzato da un sacchetto di polietilene e da un manico in teflon, al termine del quale è situata una piccola ventosa che viene appoggiata sulla testa del feto. A quel punto sia il ginecologo che l’ostetrica possono provvedere a pompare una quantità minima di aria attraverso l’apposito condotto, garantendo una presa sicura e delicata intorno alla testa del bambino e una trazione più facile attraverso il canale del parto. 

Quest’idea è venuta a Jorge Odón osservando il modo in cui due colleghi estraevano un tappo di sughero caduto dentro una bottiglia di vino attraverso l’utilizzo di un sacchetto di plastica. I due, infatti, avevano infilato la busta nel collo di vetro, lasciandone fuori soltanto i manici. Inclinando la bottiglia, il tappo entrava in contatto con il sacchetto, che veniva poi gonfiato d’aria. A quel punto bastava tirare i manici e il gioco era fatto.

Odón, che aveva già assistito ai parti dei suoi cinque figli, pensò che quel metodo poteva essere una soluzione efficace anche nella fase espulsiva del parto, qualora le spinte della madre non bastassero a far venire fuori il bambino. Con caparbietà il meccanico si mise a fare delle prove con un utero di vetro e una bambola e gli esperimenti sembravano dargli ragione. Ma farsi ascoltare da un medico non era facile; Odón, tuttavia, ebbe la fortuna di incontrare Javier Schvartzman, un ostetrico del Cernic che, dopo un momento di smarrimento, comprese il potenziale di quell’idea. Da quel giorno la strada è diventata tutta in discesa. Al momento, infatti, il dispositivo è sottoposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a un test su 100 donne con gravidanze senza complicazioni in Argentina e in Sudafrica. 

Ma il condizionale è ancora d’obbligo; come spiega Serena Donati, ricercatrice dell’Istituto Superiore della Sanità, al fattoquotidiano.it: “Bisogna chiarire che il dispositivo non si trova negli ospedali e che è ancora in fase di sperimentazione. Gli studi di validazione sono necessari a dimostrarne l’efficacia e la sicurezza, sia per la madre che per il bambino”.

Qualora fornissero delle risposte positive, l’apparecchio potrebbe essere la risposta ad alcuni problemi: “È uno strumento che sembra comportare minori rischi per il bambino e per la mamma – spiega -; talvolta il forcipe può causare danni al tratto genitale della donna e, come anche la ventosa, può essere responsabile di danni neonatali”.  

Sicuramente il dispositivo avrebbe maggiore successo nei paesi più poveri, dove spesso mancano le attrezzature e il personale è carente: “Una volta verificata la sicurezza e l’efficacia dell’apparecchio, questo potrebbe trasformarsi in uno strumento molto prezioso per i paesi più svantaggiati, dove il rapporto di mortalità materna è ancora altissimo”, conferma la Donati. Secondo gli ultimi dati dell’OMS, infatti, in Africa1 donna su 40 rischia la vita per complicanze durante la gravidanza o il parto, mentre in Europa i numeri parlano di 1 donna ogni 3300.

Inoltre, l’Odón device dovrebbe ridurre il rischio di trasmissione del virus dell’Hiv – altissimo in alcune zone dell’Africa – dalla madre al bambino, limitando il contatto con le mucose del canale del parto. A questo si aggiunge il basso costo di produzione dell’apparecchio, stimato intorno ai 50 dollari, che favorirebbe la diffusione dello strumento nei paesi del Terzo Mondo.

La questione cambia quando veniamo in contatto con le realtà più vicine a noi: “Per quanto riguarda il nostro Paese, lo strumento potrebbe essere un ausilio durante i parti operativi, che tuttavia riguardano soltanto il 3-5% dei nati totali. Per questo è difficile che lo strumento rappresenti una soluzione per l’eccesso dei cesarei in Italia. I professionisti sanitari hanno difatti perso competenze nell’arte ostetrica e preferiscono ricorrere al taglio cesareo che nella maggior parte dei casi viene programmato prima dell’inizio del travaglio”, conclude la Donati. 

Anche se nei paesi sviluppati l’apparecchio non dovesse segnare un grande cambiamento, in quelli meno avanzati potrebbe essere di aiuto sia alle donne che ai bambini. Motivo per cui Jorge Odón ha concesso il brevetto a una condizione: nel Sud del mondo il dispositivo dovrà essere venduto al suo prezzo di costo, non un dollaro di più.

Articolo Precedente

Pari opportunità, così le “parole tossiche” avvelenano la nostra società

next
Articolo Successivo

Spagna, consigli antistupro del governo: “Fischietti, tende chiuse e luci accese”

next