Il diritto alla salute, alla scelta e all’autodeterminazione, per le donne che vogliono abortire nella cattolicissima Irlanda, può diventare un viaggio all’inferno senza ritorno. La storia della 18enne arrivata lì in stato di gravidanza dopo uno stupro subìto nel paese d’origine, e per questo intenzionata a non portarla a termine, è prima di tutto la storia della violenza da parte di un uomo, e poi di una serie di altre violenze da parte delle istituzioni. La donna, di cui non si conosce il nome, aveva chiesto di interrompere la gravidanza. Non avendo ottenuto il permesso, e non potendo – per motivi economici – andare in Inghilterra dove avrebbe potuto abortire, ha manifestato un disagio fino a due tentativi di suicidio, perché mai avrebbe voluto un figlio nato da uno stupro. Ricoverata in ospedale, ha iniziato uno sciopero della fame e della sete. Qui, due psichiatri e un ostetrico hanno infine accertato un disagio psichico dando parere favorevole all’aborto.

A luglio 2013 in Irlanda – dopo giorni di manifestazioni a seguito della morte di una donna alla quale era stato negato l’aborto per motivi di salute – è stata approvata una legge per l’interruzione di gravidanza nel caso in cui sia a rischio la vita della donna: non lo prevede in caso di stupro, di incesto o di anomalie del feto. Tra i rischi che lo consentono, la legge include tuttavia il tentato suicidio e il disagio psichico. Casi questi ultimi, della ragazza extracomunitaria dove, al parere favorevole della commissione dei tre medici, è subentrato un giudice che tramite il servizio sanitario locale ha predisposto la reidratazione e nutrizione artificiale coatta per la sopravvivenza del feto allo sciopero della fame e della sete della donna. Visto l’avanzato stato della gravidanza, l’ospedale ha però deciso di far partorire la donna con taglio cesareo. Il bambino – tutt’ora in ospedale – e la madre, non hanno mai avuto alcun contatto.

Per un paese che porta scritto nella Costituzione il divieto di abortire, l’emendamento approvato un anno fa è già una tappa importante. Tuttavia, le donne irlandesi ne chiedono l’abolizione a favore di una legge più giusta; perché di fatto, la legge vigente impedisce quasi sempre l’interruzione di gravidanza, se non in casi eccezionali e dopo aver subìto visite spesso di diverse commissioni di medici.

Le leggi dello Stato, fatte quasi sempre da uomini, per il controllo del corpo delle donne, potrebbero essere materia di diritti umani. Il corpo è un territorio che le donne devono riconquistare.

In Italia  Marianna Madia dichiarava: “L’aborto è il fallimento della politica, un fallimento etico, economico, sociale e culturale. Sono cattolica praticante, e credo che la vita la dà e la toglie Dio.” Un ministro della Repubblica che usi Dio per argomentare su una legge dello Stato laico che rappresenta e criticarla, è una cosa da talebani. E non rappresenta tutti gli italiani, motivo per cui dovrebbe dare dimissioni. L’idea di conservazione della vita a costo della vita stessa, battaglia fondamentalista di molte associazioni cattoliche, rischia di non essere molto diversa dal perseguire il “miglioramento della razza” di memoria nazista. Mettere sotto custodia gli individui perché facciano “la cosa giusta”, non è mai cosa buona e giusta.

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