Qualche settimana fa è stata pubblicata un’inchiesta sui nuovi lavoratori della Rete: precari, sottopagati, privi di ogni garanzia contrattuale e, come tali, sfiduciati, avviliti, insoddisfatti. L’Italia che lavora, o vorrebbe lavorare, online dunque non è poi così diversa dall’Italia offline? In cosa consiste allora la ‘grande opportunità di Internet’ di cui si parla tanto? E soprattutto, esiste?

L’inchiesta fotografa indubbiamente una situazione reale, con cui molti professionisti della Rete, come, copywriter, social media manager, web editor, web designer, programmatori, si trovano a dover fare i conti e sembra, a una prima lettura, stridere con la preconcetta idea diffusa che i cosiddetti ‘nuovi mestieri della Rete’ siano per definizione sinonimo di autonomia, creatività, libertà. 

Il contrasto è ancora più netto se si paragonano le storie dei ‘nuovi proletari digitali’ con quelle dei ‘nomadi digitali’ che raccogliamo in giro per l’Italia e per il mondo per poi raccontarle a chi è in cerca di buone ispirazioni, di esperienze e consigli, di percorsi personali e professionali cui ispirarsi per crearsi un’alternativa lavorativa grazie al Web.

Potrebbe sembrare una questione di fortuna – l’idea, il momento, l’incontro giusti – o di opportunità – a quel qualcuno a cui l’occasione si è presentata ne corrispondono altri 100 esclusi –  ma c’è un presupposto di fondo fuorviante, di cui si deve tenere conto: se il modello lavorativo di riferimento resta lo stesso, in sintesi cercare qualcuno che ti dia un posto di lavoro, per i lavori emergenti ‘online’ non potranno che prodursi che gli stessi effetti ormai già noti ‘off line’.  Precariato, sfruttamento, mancanza di diritti e di prospettive.

Se a questo aggiungiamo che in Italia le professioni Web, in crescita costante, non sono regolamentate e sono dunque prive di un’identità normativa, gli esiti non possono essere che quelli di lavoratori costretti ad arrangiarsi e a dover ‘lottare’ per spuntare condizioni contrattuali decenti.

L’abbiamo scritto molte volte, serve un cambio di mentalità e, se non arriva con le riforme del Governo, deve partire da noi: è necessario sfruttare le opportunità di Internet per diventare imprenditori di noi stessi, individuando una passione o una competenza e costruendoci intorno la nostra identità e professionalità online e creando un servizio di valore, ovvero di reale utilità, per gli altri, siano questi privati o aziende. Senza questo ‘rovesciamento di ruolo’, senza porsi in modo imprenditoriale sul Web, le storie dei nomadi digitali non avremmo potuto scriverle.

Senza un approccio diverso, forse oggi Mary Tomasso sarebbe una segretaria in cerca di lavoro invece che un’assistente virtuale, Sara Bigatti una giovane ragazza in cerca di una palestra dove insegnare invece che una professionista che gira il mondo insegnando Yoga, Andrea di Rocco uno ‘smanettone’ invece che un imprenditore che vende corsi online,  Claudia Landini una moglie e mamma espatriata invece che una coach esperta di espatrio e di carriere portatili, solo per citarne alcuni.

E forse anche noi di Nomadi Digitali saremmo rimasti solo dei sognatori innamorati del viaggio e non avremmo creato un progetto di editoria online indipendente. Nessuno di noi può forse dire di ‘avere fatto soldi’, ma di avere conquistato la libertà di vivere facendo ciò che più ci appassiona e di aver costruito intorno a essa un’alternativa professionale sì. Per questo, più che proletari digitali ci piace definirci “felici digitali”. E di questi tempi, non è davvero poco.

di Marta Coccoluto

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