“Me l’ha detto Matteo Renzi: c’è la più grande industria del Paese che ha bisogno di essere riposizionata e rivitalizzata”. Dopo 36 anni alle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti sa bene chi è l’azionista di riferimento di un manager pubblico. Il solco è stato tracciato a Palazzo Chigi: bisogna salvare la Finmeccanica che se la passa veramente male. Eppure le cronache estive dell’esordio di Moretti nel palazzone romano di piazza Montegrappa, ultimo tempio dell’industria statale che fu, hanno suscitato qualche perplessità, raffigurando il nuovo numero uno intento in una certosina verifica dei rimborsi benzina e delle cilindrate delle auto di servizio dei dirigenti. Una bonifica che nella migliore delle ipotesi porterà a risparmiare una decina di milioni all’anno. Cifra notevole, se presa a misura di un tipico malcostume da carrozzone pubblico, irrisoria se confrontata con i drammatici problemi di sopravvivenza del gruppo.

I numeri sono spietati. Nel 2011 Finmeccanica ha fatturato 17,3 miliardi, nel 2013 solo 16. Il portafoglio ordini si è ristretto da 46 a 42, 7 miliardi. Negli ultimi due anni l’azienda ha perso 1,6 miliardi, apparentemente ridotti a 900 milioni vendendo pezzi pregiati come Ansaldo Energia. E quattro anni di scandali giudiziari – che hanno travolto la gestione di Pier Francesco Guarguaglini e quella di Giuseppe Orsi – hanno fiaccato reputazione e slancio competitivo dell’ultima realtà high-tech dell’industria italiana. Perché dunque partire dai rimborsi benzina? Forse per la stessa ragione per cui uno dei primi atti di Moretti è stato il siluramento di Ignazio Moncada, presidente della controllata Fata, che è stata messa in vendita.

Nella celebre cena intercettata in un ristorante romano nel 2012, l’allora presidente dello Ior, Ettore Gotti-Tedeschi, invitava caldamente l’amico Orsi (predecessore di Moretti, poi arrestato e processato per tangenti) a mettersi sotto l’ombrello protettivo dell’ex esponente socialista di Torino, legato a Gianni De Michelis e Giuliano Amato. Su Il Sole 24 Ore Gianni Dragoni ha spiegato che Moncada “era considerato un king maker nelle nomine del vertice di Finmeccanica per le sue relazioni anche con servizi segreti e massoneria”. Insieme a Moncada e a un’altra ventina di dirigenti ha dovuto fare le valigie un altro uomo simbolo suo malgrado, il capo delle relazioni esterne Marco Forlani, figlio del leader Dc Arnaldo, e sempre a galla negli anni tormentati che hanno visto Orsi fare le scarpe a Guarguaglini, e Alessandro Pansa fare le scarpe a Orsi. A fare le scarpe a Forlani ci ha pensato appunto Moretti. Sono quelli che si chiamano segnali.

La logica di Moretti si può così sintetizzare: un manager che s’ingegna a fare la cresta sui rimborsi della benzina quali garanzie offre sulla serietà e dedizione con cui va a vendere un elicottero all’emiro o a progettare un missile o un radar? Da qui alla replica del modello renziano in chiave aziendale il passo è breve: in un gruppo dove lavorano 60mila persone si umiliano più o meno pubblicamente alcune decine di manager perché tutti i duemila dirigenti si diano una regolata. E si segnala agli altri 58mila che è finita l’epoca dei raccomandati intoccabili e si aprono spazi per tutti i meritevoli, non solo per la carriera ma anche solo per lavorare dignitosamente, cosa ormai rara nell’industria italiana. Ci sono due incognite. La prima è che la distanza che renzianamente separa gli annunci dai fatti invita alla prudenza. La seconda, che consegue dalla prima, è che non è detto che il popolo Finmeccanica si fidi. Cosa che però bisogna augurarsi perché quello di Moretti è l’ultimo tentativo possibile di salvare una presenza significativa dell’industria high-tech in Italia.

La Finmeccanica eredita anni di follie a pie’ di lista. È un supermarket apparentemente grande che produce di tutto: elicotteri, aerei, cannoni, mitragliatrici, carri armati, treni, autobus, radar, missili, satelliti, sonde spaziali e chi più ne ha più ne metta. Per ogni prodotto deve fronteggiare concorrenti molto più grossi in quel segmento. E negli ultimi anni ha bruciato tanto capitale da trovarsi oggi disarmata di fronte alla necessità di investire sulla ricerca e lo sviluppo dei nuovi prodotti. “Fare meno cose e farle meglio” è la scommessa di Moretti. Il rischio di trovarsi con una Finmeccanica semplicemente più piccola è concreto. O vedremo l’ennesima stazione di una via crucis chiamata declino, oppure assisteremo a un miracolo.

Twitter @giorgiomeletti

Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2014 

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