Il post con le riflessioni sulla responsabilità inerente la lunghezza dei processi ha provocato un dibattito con interventi di magistrati che hanno sostenuto la seguente tesi: 1) la durata del processo non dipende dalla negligenza dei magistrati quanto dall’abnorme carico pendente che fa si che ciascuno abbia un notevole carico di lavoro (anche fino a 450 all’anno) tale da costringerli a scadenzare di molto le cause; 2) prova della loro efficienza è confermata dal “rapporto Cepej 2013”; 3) il numero abnorme di cause pendenti dipende dal numero degli avvocati (250.000). Tali tesi vanno certo approfondite.

Occorre però chiarire come la malagiustizia italiana (che comporta ogni anno una democrazia fiaccata, minor tutela e minor Pil) non dipenda certo solo dalla magistratura. I magistrati svolgono un ruolo straordinario, delicatissimo e devono conservare piena autonomia. Autonomia non significa però impunità o insindacabilità. Essi hanno il rispetto dell’avvocatura in generale, a condizione però che siano diligenti. Diligenza pretende abnegazione, consapevolezza del ruolo e delle funzioni svolte, capacità di autocritica. Quando si chiudono nella torre d’avorio persi nell’elogio della propria toga non fanno un torto all’avvocatura ma a chi domanda ogni giorno che venga fatta giustizia.

In questi anni ho scritto spesso come ciascun “attore” nella giustizia abbia una parte di responsabilità: l’avvocatura (in sovrannumero e con Ordini poco vigilanti); la magistratura (organizzata male, priva di responsabilità), il personale amministrativo (male organizzato, poco aggiornato), il legislatore (spesso analfabeta e in mala fede), i cittadini (assai litigiosi ma spesso costretti da una Pubblica Amministrazione inadempiente e arrogante). Insieme formano un puzzle composto da parole non scomponibili quali giustizia/diritti/democrazia/economia. O ci rendiamo conto di ciò e si interviene oppure contribuiremo tutti alla tumulazione di questo Paese, già in fieri.

Veniamo alle tesi addotte a difesa della (diligenza della) magistratura. Ogni magistrato ha un enorme carico di lavoro: in Italia abbiamo circa 16.000 magistrati tra togati e onorari. Ognuno ha mediamente nel civile un carico di circa 300 processi/annui, ossia circa 1 al giorno. Il calendario di ogni magistrato mediamente prevede almeno una decina di processi al giorno ma le udienze veramente impegnative sono al massimo 2 per processo. Le altre sono formali (andrebbe soppressa quella di precisazione delle conclusioni, ridicola). Ciò però non li giustifica a presentarsi in udienza senza conoscere mai il fascicolo. Perché non ridurre la sospensione feriale a 30 giorni invece dei 45 attuali (1 agosto/15 settembre)? Perché non pretendere che i magistrati lavorino (sui provvedimenti) in tribunale sino alle 17 invece che consentirgli il lusso di lavorare da casa? Perché i giudici rinviano l’ultima udienza anche di 1 anno (e in alcuni tribunale anche 2 e oltre) quando una causa ordinaria potrebbe concludersi in un anno (come dimostrano alcuni tribunali virtuosi)? Perché in Corte d’Appello i processi divengono una farsa (quasi sempre scritti e mai discussi) ma occorre attendere 3 anni per avere una sentenza quando potrebbero essere decisi in soli 6 mesi?

Il rapporto Cepej 2013 non premia affatto i magistrati italiani ma conferma come la giustizia italiana sia tra gli ultimi posti in Europa (Quadro di valutazione UE della giustizia 2014: verso sistemi giudiziari più efficienti nell’Unione European Commission – IP/14/273   17/03/2014) e la Vicepresidente Viviane Reding, Commissaria europea per la Giustizia ribadisce nuovamente un concetto elementare ossia che: “Giustizia tardiva equivale a giustizia negata”.

Peraltro ricordiamo come la raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia, che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell’Italia e prescrive di “monitorare tempestivamente gli effetti delle riforme adottate per aumentare l’efficienza della giustizia civile, con l’obiettivo di garantirne l’efficacia, e attuare interventi complementari, ove necessari”.

L’ultima tesi ostentata dai magistrati (come dimostra anche l’ultima uscita del dott. Davigo) e cavalcata dai mass media è l’assioma tanti avvocati = tanti processi. E’ come sostenere che l’aumento dei dentisti causi un numero maggiore di carie. E’ indubbio come l’avvocatura italiana sia numericamente eccessiva (ma le commissioni d’esame, – dunque anche quelle imbarazzanti calabresi che per anni hanno promosso col 99% le truppe migranti da ogni foro italiano-, sono composte ex lege anche da molti magistrati) ed è ben possibile che in mezzo ci siano avvocati poco diligenti e accorti che mal consiglino i clienti (e gli Ordini dovrebbero intervenire!) ma sostenere che 5 milioni di processi pendenti siano imputabili a ciò, è una tesi prima ancora che illogica, ridicola.

L’avvocatura ha certo tante responsabilità ma una più di tutte: essersi posta supina al cospetto della magistratura in questi ultimi decenni accettandone prassi e negligenze, senza denunciarle e senza contrastarle.

Come già spiegato i tempi del processo li detta e li governa esclusivamente la magistratura. Stia dunque meno a casa, meno in vacanza, meno a occuparsi di correnti e più nei tribunali. E soprattutto ascolti, anche i lamenti di dolore.

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