Il nome è anche impresso sul cartello della SS 136 che li riporta a casa tutti i giorni, ma pochi ricordano esattamente perché e quando si sono imparentati. Il Comune di Alfonsine, con i suoi 12mila abitanti in provincia di Ravenna, da cinquant’anni ha però un gemello. Sta a mille chilometri di distanza e i due non si somigliano per niente. Stentano pure a pronunciarlo, i romagnoli: Nagykàta, a 20 km da Budapest. Qualche pensionato s’illumina però, ricordando la gloriosa “Staffetta per la Pace” del 1987: venti podisti che arrancano per 1.023 km seguiti da una carovana di automezzi, cuochi, medici, troupe della Rai. Pure un corrispondente dell’Unità al seguito. “Cossiga e il Papa in persona mandarono un messaggio”, afferma chi c’era.

Altri tempi, si dirà. Ma quel sodalizio dura ancora, testimoniato oggi dalle meno epiche spese di rappresentanza dell’amministrazione romagnola. Nella ricorrenza del 50esimo anniversario Alfonsine ha speso 2.698,67 euro per ospitare una delegazione dei gemelli ungheresi. Roba modesta, per carità, ma più che per la storica battaglia del Senio, la Liberazione della città e dell’Italia (quattro corone di fiori, 310 euro). E poi ci sono i gemelli di San Vito Di Cadore (Belluno), Spello (Perugia) e la fratellanza con Mayahi (Nigeria), giusto per segnalare abbondanza e coerenza delle affiliazioni del piccolo comune ravennate da cui siamo partiti.

Milano e i suoi 14 fratelli
Il punto è che di anniversari ormai ce ne sono a bizzeffe, decine di migliaia ogni anno. Perché a furia di gemellarsi, comuni, province e regioni han messo su una grande famiglia. Che tocca poi mantenere. Milano, per dire, è gemellata con 14 città. Udine è riuscita a collezionarne nove. Il fenomeno è nato nel secondo dopoguerra, in Italia ha avuto la sua stagione d’oro a partire dagli anni Ottanta. E da allora non si è fermato, crisi o non crisi. Il perché è presto detto: culturali, educativi, sportivi o commerciali per gli amministratori, piccoli e grandi che siano, i gemellaggi sono (anche) il pretesto irresistibile per missioni istituzionali, conferenze, cerimonie, omaggi. Per non dire della solleticazione che sa procurare, anche all’ultimo dei consiglieri, l’idea d’esercitarsi in politica estera, ancorché in miniatura e sempre a carico del contribuente. Ad alimentare queste iniziative, va detto, è stata anche l’Europa. Dal 1989 finanzia programmi di cooperazione per incentivare la diffusione di una comune identità tra le municipalità dell’Unione. Iniziativa lodevole che oggi non viene rinnegata ma contenuta: il programma “Europa per i cittadini” 2007-2013 poteva contare su 215 milioni di euro, per il periodo 2014-2020 la dote è stata ridotta di un quarto (180 milioni), nonostante l’esigenza di colmare un crescente scollamento tra cittadini e istituzioni comunitarie.

E tuttavia la piattaforma europea (Twinning. org) per federare i comuni lavora a pieno regime, sembra un sito d’incontri per comuni soli: oggi segnala che 160 amministrazioni italiane stanno ancora cercando l’anima gemella. E il gemellaggio, come recitano i programmi europei, è finalizzato alla creazione di “rapporti duraturi” ma, una volta ridotto o esaurito il finanziamento, i costi per tenerlo vivo restano sul gobbo dei cittadini. Così i mille rivoli di spesa, la meno controllata proprio perché di modesti importi, sono diventati un fiume limaccioso che contribuisce a scavare i dissestati conti degli 8mila comuni d’Italia (63 sono al collasso, 120 rischiano il crac). Nella stagione del rigore si è dunque tentato di frenare gli eccessi ma con scarsi risultati. Le misure di stabilizzazione del Dl. 78/2010 (art. 6, comma disponeva che “gli Enti locali non possono effettuare spese di rappresentanza per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nel 2009 per le medesime finalità”. Si scatenò una pioggia di ricorsi tale che dovettero pronunciarsi varie sezioni regionali della Magistratura contabile e perfino la Corte Costituzionale (sentenza n. 139 / 2012) per chiarire, una volta per tutte, che la stretta ricadeva anche sulle spese per gemellaggi e che no, le misure di contenimento imposte dallo Stato alle Autonomie territoriali non ledono il loro diritto di autodeterminazione. Per dimostrarlo si lasciò loro la facoltà di non procedere a tagli puntuali per ciascuna voce di spesa, ammettendo compensazioni, a condizione di assicurare comunque il risparmio previsto. Errore fatale. 

I festeggiamenti pisani
La “gemellification” italiana è andata avanti, pressoché indisturbata, all’insegna della fantasia e dello spreco. Si può citare allora il conto del sodalizio tra Pisa e tre delle 10 città con cui è gemellata. I festeggiamenti per gli amici di Unna, Rodi e Angers, nel trentesimo di quest’ultima, sono costati 17.230 euro tra ospitalità, mostre e convegno. “Abbiamo ridotto i viaggi e i costi d’accoglienza – dirà il vicesindaco Paolo Ghezzi – poi possiamo anche chiederci se sia il caso di smettere di rappresentare Pisa nel mondo e di rinchiuderci in un angolo”. Forse neppure questo basta, visto che si spende anche senza partire. Il Comune di Lerici, ad esempio, ha ratificato nel 2008 le nozze con Mougins, località turistica vicino a Cannes. La sola cerimonia – tra bandiere (italiane, francesi, europee), allestimento sala, concerto, catering – costerà 6mila euro.

Non risparmia invece sui km il Comune di Licata che nel 2001 ha avviato una comunione alquanto bizzarra con la tedesca Reinheim, 2mila km più a nord. Per il decimo anniversario del sodalizio ha organizzato ai gemelli baffuti una trasferta di 20 ore in pullman. Viaggio, 5 notti d’albergo, buffet e doni: conto finale 3. 350 euro. Tra i motivi profondi di comunione – non è uno scherzo – il fatto che la signora Linda Licata, che da anni vive in Germania, è la moglie del sindaco Karl Hartmann. E tanto è bastato per imparentare 40mila licatesi e 17 mila assiani, gente di mare e gente di montagna.

I tedeschi sono i più ambiti
Oggi la Germania è gettonatissima. Il Comune di Imperia ha appena optato per Friedrichshafen, che sta sul lago di Costanza. Cosa c’entri con una località di mare nessuno l’ha capito fino in fondo ma da aprile sono ufficialmente gemelli. Un mese dopo, puntuale, scatta la trasferta per la ratifica dell’accordo. E succede qualcosa di memorabile. Con fare teutonico, i bavaresi diretti in Liguria comunicano agli omologhi amministratori italiani che i costi per il ristorante saranno tassativamente a carico loro. Il Comune delibera dunque la spesa di 1.866 euro per quattro giorni di ospitalità. Ma al Ristorante Horeca, sul Lungomare Cristoforo Colombo, hanno mangiato in 20. E gli amministratori di Imperia, con fare italiano, si sono ben guardati dal pagare di tasca loro il conto da 760 euro.

 

 

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