Caro Direttore Generale,

La ringrazio della Sua risposta di ieri e per aver scelto di perdere ancora un po’ di tempo – per usare le Sue stesse parole – “con persone che non sono né interlocutori istituzionali né esperti di settore, tantomeno giornalisti, ma solo avvocati o ingegneri che cercano visibilità e clienti” e che “certamente non sono né dalla parte degli autori né da quella dei consumatori ma, legittimamente, hanno scelto di difendere gli interessi delle multinazionali, oltre che i propri.” Confesso, però, che in una storia come quella degli aumenti tariffari dei compensi per copia privata già lastricata di bugie, ipocrisie e mezze verità, mi è dispiaciuto dover prendere nota del fatto che Lei abbia avvertito l’esigenza di raccontarne ancora una.

E’, infatti, una bugia – e qualsiasi altra espressione sarebbe inutilmente ambigua – quella secondo la quale quando la Sua società ha scritto a questo giornale, all’indomani della mia lettera aperta al Suo Presidente, e ha parlato di “avvocati ed ingegneri” con i quali non voleva più perdere tempo, non si sarebbe riferita né a me, né al collega Giardina, direttore di Dday. Mi permetta di trovare curiosa, un po’ puerile e quasi-confessoria la sua affermazione secondo la quale Gianfranco Giardina e io non saremmo “gli unici ingegneri  e avvocati a occuparsi di copia privata” giacché “ve ne sono, purtroppo molti altri, che come voi legittimamente la pensano ‘diversamente’”. Guai a rivendicare primati o esclusive e, naturalmente, ci sono tanti altri ingegneri ed avvocati – come ci sono medici, studenti, casalinghe, amministratori pubblici e persino autori ed editori – che trovano a dir poco scandaloso quanto accaduto attorno a questa vicenda, il comportamento tenuto dalla Sua Siae e quello del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del Ministro Franceschini. Mi darà però atto che se la Sua società prende carta e penna e scrive – non a tutti i giornali o a tutte le agenzie – ma a Il Fatto Quotidiano che ospita il mio blog, all’indomani di una mia lettera aperta al Suo Presidente, per segnalare di “non voler più perdere tempo” con “con persone che non sono né interlocutori istituzionali né esperti di settore, tantomeno giornalisti, ma solo avvocati o ingegneri che cercano visibilità e clienti”, è difficile credere che il messaggio non fosse indirizzato a me. E’ per questo che trovo davvero ipocrita scrivere – come Lei ha invece ritenuto di fare – che “La Siae nella sua nota non si riferisce a Lei né a Giardina, né esplicitamente né implicitamente”. Perché mentire ancora? Forse perché il Suo amico Scordino – illustre collega avvocato, esperto di informazione, prima che consigliere di gestione della Sua Società – oltre a insegnarLe che le opinioni sono libere, Le ha anche spiegato che, al contrario, dire ad un avvocato che difende le multinazionali e non i consumatori mentre è vero l’esatto contrario può costituire reato? Se è così, Caro Direttore Generale, “stia sereno” – tanto per usare un’altra espressione a Lei cara giacché la usa per aprire e chiudere la Sua nota di risposta – non credo che, ai tempi di Internet, abbia senso querelare qualcuno per diffamazione salvo casi limite o salvo che non si vada alla ricerca di un legittimo risarcimento del danno: basta, semplicemente, rispondere, dire la propria e lasciare che siano lettori ed utenti a farsi un’opinione su chi ha ragione e chi ha torto. Non Le reitero neppure la mia originaria richiesta di scuse giacché, evidentemente, non può scusarsi con chi dice non fosse il destinatario della nota della Sua società – che, pure, ad un qualche avvocato doveva essere indirizzata! – ma Le chiedo, credo a nome davvero di tanti, solo una cortesia.

Trovi il tempo di rispondere, numeri alla mano, alle famose 10 domande alle quali il Suo “amico Scordino” ha, per la verità, già risposto, con grande cortesia, tante parole ma nessun dato, numero o cifra o, almeno, se non vuol perdere tempo a rispondere a tutte, risponda solo a queste cinque:

1. Quanto tratterrà per sé la SIAE ogni anno se – come appare incontestabile – incasserà oltre 150 milioni di euro all’anno a titolo di equo compenso per copia privata?

2. Visto che le somme che trattiene per sé devono rappresentare, per legge, esclusivamente un rimborso dei costi di gestione sostenuti, come sono stati calcolati, per il 2013, questi costi? E’ possibile prendere visione delle diverse voci di costo che hanno consentito a SIAE di trattenere oltre 4 milioni di euro, sugli oltre 62 complessivamente incassati?

3. Chi sono stati i 1000 autori ed editori che hanno beneficiato dei maggiori incassi a titolo di copia privata nel 2013 o che ne beneficeranno se le somme non sono state loro ancora liquidate? Se ritiene che la privacy ne impedisca la pubblicazione dei nomi – per gli autori, giacché per gli editori, trattandosi di società non c’è privacy che tenga – è sufficiente che ne pubblichi solo le iniziali tanto, ciò che conta, non è chi sono i “paperoni” del compenso per copia privata ma se e quanto il cosiddetto “equo compenso” sia “equamente” distribuito.

4. Quanto ci mette la Sua società a ripartire completamente le somme che incassa trimestralmente a titolo di compenso per copia privata e come è possibile che nelle Sue casse, al 31 dicembre 2013, giacessero oltre 150 milioni di euro incassati a tale titolo ma ancora da ripartire?

5. Quanto, la Sua società, guadagnerà, a titolo di proventi finanziari, per effetto dei ritardi – o, almeno, dei tempi lunghi – con i quali provvederà al riparto degli oltre 150 milioni di euro che incasserà ogni anno?

Grazie ancora per il Suo tempo e per la Sua risposta.

Articolo Precedente

Riforme, i nodi venuti al pettine

next
Articolo Successivo

Crisi, per la crescita non bastano le riforme italiane

next