Per il giudice Silvia Albano i gemelli nati dopo lo scambio di provetta devono essere assegnati alla mamma che li ha partoriti e al di lei marito perché così prevede la legge vigente. Su questo tutti i giuristi sono concordi. Il giudice però non ha solo negato un provvedimento di urgenza che permettesse ai genitori biologici di mantenere un legame affettivo con i neonati ma non ha voluto nemmeno interessare la Corte Costituzionale del problema.

E questo è il punto debole della sua decisione. Il giudice ammette che “il diritto non disciplina in modo esplicito la fattispecie” ma si rifiuta di sollevare la questione di costituzionalità “in quanto contrastante con gli interessi dei minori alla stabilità del loro status e con il loro diritto a vivere con quella che è la propria famiglia secondo l’ordinamento vigente”. Il sistema italiano impedisce ai genitori biologici di sollevare direttamente la questione davanti alla Corte e l’ordinanza chiude così la strada: “Non si rinvengono motivi per sollevare la questione di costituzionalità delle norme che hanno portato al riconoscimento dei resistenti quali genitori legittimi dei nati in quanto si ritiene che esse rispondano pienamente nel caso concreto agli interessi dei minori coinvolti”. Ma siamo proprio sicuri che gli interessi dei minori siano tutelati meglio affidando i gemelli alla mamma che li ha partoriti? La dottoressa Albano dovrebbe provare a mettersi davvero nei panni dei due gemelli applicando a sé stessa il principio enunciato per i gemelli. Il giudice preferirebbe scoprire oggi di essere figlia di genitori che tanti anni fa volevano concepire proprio lei, cioé una figlia frutto del proprio patrimonio genetico, ma per errore poi cresciuta nella pancia di un’altra mamma, o preferirebbe scoprire di essere figlia di due genitori che non volevano lei ma un’altra figlia, frutto del proprio patrimonio genetico, e che invece si sono ritrovati (prima per caso e poi per scelta) una figlia diversa, cioé frutto della volontà, del seme e dell’ovulo di un’altra coppia?

In altri termini, il giudice preferirebbe scoprire di essere figlia biologica dei propri genitori, anche se nata per errore dopo la gestazione nella pancia di un’altra donna oppure preferirebbe scoprire di essere nata da una fecondazione eterologa realizzata contro la volontà dei genitori naturali, espropriati dei loro geni? Il giudice sostiene di avere messo al primo posto l’interesse dei minori. Siamo sicuri che sia così? La sua decisione in verità tutela al meglio solo la madre che ha partorito i gemelli e danneggia, forse con un trauma minore, la coppia donatrice ma trascura l’aspirazione dei figli a restare con il genitore biologico. Chi può dire che i gemelli, potendo scegliere, avrebbero preferito la fecondazione eterologa involontaria sancita dal giudice all’utero in affitto casuale chiesto dalla coppia sconfitta? Quanti preferirebbero dover dire grazie oggi a una donna che li ha tenuti in grembo tanti anni fa per poi donarli ai genitori biologici piuttosto che porre oggi a quella stessa donna, in qualità di madre, domande sul perché non ha permesso loro di restare con i genitori biologici che volevano proprio avere quel figlio, con lo stesso loro Dna? Quanti rimpiangerebbero oggi di non essere stati affidati al momento della nascita a due genitori che gli somigliano e che li volevano dall’inizio?

L’ordinanza fa prevalere il valore della gestazione su quello genetico. Ma se entrambi gli impianti nati dallo sbaglio avessero dato vita a due gemelli, il giudice avrebbe tenuto fermo il principio? Poniamo che una madre avesse acconsentito allo scambio alla pari dei figli e l’altra no, il giudice cosa avrebbe fatto? Anche in quel caso avrebbe privilegiato la gestazione sul Dna? Sono domande che meritano una risposta della Corte Costituzionale e il Tribunale di Roma è ancora in tempo per rimettere la questione nella giusta sede.

Dal Fatto Quotidiano del 10 agosto 2014

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