La grande bolla (di entusiasmo) ha finalmente rivelato la grande balla. Tanto la prima quanto la seconda determinate da Renzi. Si potrebbero coniare oramai tanti slogan come “Renzi Pinocchio, l’Italia in ginocchio” ma poi verremmo tacciati di populismo. Veniamo invece alla cruda realtà, quella che il premier non intende osservare, atteso che il suo unico obiettivo pare essere la realizzazione dell’accentramento dei poteri, in una pericolosa deriva autoritaria prontamente denunciata e smascherata da questo giornale ma ancor più da questa comunità di liberi pensatori, che osserva, pensa, si oppone al pensiero comune inoculato sottopelle da mass media di regime. Noi non siamo microchippati caro pseudo-riformista.

La realtà ci descrive un simulacro di democrazia, uno spettro, in cui i diritti son divenuti ologrammi. Paiono ma non sono. Impalpabili eppur appaiono tangibili. Formalmente apparenti ma sostanzialmente inesistenti. Questo è ciò che dovrebbe preoccuparci. Spiego meglio con degli esempi, solo citando i principali tra i diritti anche fondamentali.

Il diritto alla giustizia è tale se si può accedere alla c.d. giustizia (dunque all’autorità giudiziaria) per domandare tutela e se tale tutela venga tradotta in tempi ragionevoli. La giustizia italiana (oramai da qualche decennio, certo, non da gennaio) invece: a) non è agevolmente accessibile (negli ultimi 2 anni i costi per accedervi , quelli che finiscono nelle casse dello Stato, sono esponenzialmente stati aumentati tanto per ostacolare tale accesso quanto per fare cassa con la giustizia) così realizzando una giustizia classista (per i più abbienti); b) ha una irragionevole durata (la media di un processo ci relega tra gli ultimi posti al mondo); c) è aberrante e abnorme nell’esecuzione della “pena”. L’effetto è – da un lato  – di scoraggiare ogni investitore straniero verso l’Italia e – dall’altro – di frantumare il sistema della tutela dei diritti. Diritti fiaccati corrispondono ad una democrazia debole.

Il diritto ad un fisco equo emerge chiaramente dall’ordinamento che prescrive una fiscalità proporzionale e certa. Mentre all’opposto, il coacervo legislativo fiscale, il conseguente comportamento dell’Agenzia delle Entrate, il sistema poco terzo della giustizia tributaria ci continuano a consegnare un fisco opaco, incerto, non trasparente, aggressivo con i deboli e indulgente con i grandi evasori ove non addirittura premiante. La Tasi di settembre (quando capiranno anche gli elettori imbarcati con l’elemosina degli 80 euro) certificherà questa ennesima prassi cialtrona, arruffona.

Il diritto alla (tutela della) salute prescrive un sistema sanitario efficiente. Efficienza pretende una buona qualità del servizio erogato ma anche ragionevolezza nei tempi. Oggi attendere di poter effettuare esami e controlli per un male grave a distanza di oltre un anno certifica quanto tale diritto sia irrealizzato. E’ evidente come la conseguenza di ciò sia lo sperpero di risorse pubbliche all’interno di una sanità a gestione regionale e lottizzata secondo avidi interessi politici.

Il diritto al lavoro non è certo il diritto ad aver consegnato un lavoro ma è il diritto a poter accedere ad un mercato e ad una società che consenta di trovare un lavoro. E il costo del lavoro sopportato dal datore è una chiave fondamentale per poter realizzare ciò.

Il diritto alla democrazia disegnato dai nostri Padri costituenti (e non dall’arrogante e incolta Armata Brancaleone attuale), stante l’inconsulto assoggettamento negli anni alla partitocrazia, pretenderebbe una iniezione di maggiore democrazia diretta e non già l’opposto come preteso dal disegno attuale appena votato. Democrazia che certo può essere ridisegnata nel tempo ma solo da parte di chi ne abbia la statura (etica, culturale), la legittimazione e l’investitura (politica), attraverso un percorso analogo a quello dell’Assemblea costituente. Non da una coppia di furbetti.

Il diritto ad una libera economia di mercato pretende che vi sia certamente concorrenza ma anche (come anticipato prima) un sistema di tutela che consenta ai soggetti deboli di opporsi a illegittime imposizioni da parte dei soggetti più forti. In ciò il c.d. consumerismo (prendiamone atto) ha clamorosamente fallito, per vari motivi: abbiamo una class action ridicola (che accerta ma non risarcisce), decine di associazioni di consumatori preda di bramosie politiche e non. Provate ancora oggi a contrattare liberamente le condizioni con una banca, un’assicurazione, un operatore telefonico o energetico. Provate a contestare inadempimenti a Trenitalia o a Italo. Sono tutti protetti da uno scudo di condizioni negoziali illeggibili e incomprensibili, iperprotettive. Provate a confrontare le tariffe. Sconfortante. Le Autorità Garante spesso garantiscono le proprie poltrone (difatti politiche, di rado di merito) e dunque non disturbano oltremodo il manovratore e i suoi accoliti.

Invero, il riformista Renzi non ha certo affrontato questi essenziali problemi. Essenziali per la nostra vita, per il presente e per il futuro. Per riempire di contenuti la parola “diritti”.

Eppure nella luna di miele (ora forse di fiele) aveva certamente i numeri per farlo, così come dimostra l’inquietante farsa del Senato. Chi ha quei numeri ha i numeri per le riforme subito. Usciamo da questo equivoco!

Il problema è che il trasf-ormista non intende affrontarli. Ma mentre all’estero oramai l’han capito, in Italia molti continuano a farsi abbindolare.

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