La doccia fredda arriva a metà mattina quando l’Istat diffonde i dati sul Pil: nel secondo semestre del 2014 l’economia arretra dello 0.2%, dopo il meno 0,1% del primo semestre. Un numero che da Palazzo Chigi – dove stanno discutendo di riforme e non solo il presidente del Consiglio Matteo Renzi e Silvio Berlusconi – rimbalza a pochi metri, a Montecitorio. Ed è lì in quell’istante, siamo a metà mattinata, che Pier Luigi Bersani, cravatta rossa d’ordinanza e abito blu, esce dall’Aula rifocillato come quando scaldava le masse alla feste dell’Unità. “Quelli dell’Istat sul Pil – si rivolge ai cronisti che lo attendono in Transatlantico – sono dati non inaspettati, che naturalmente preoccupano, ma che non devono cancellare la fiducia nel fatto che questo Paese possa riprendere la sua strada”. Dopo un attimo di pausa l’ex segretario si spinge oltre. E prova ad indicare la strada all’esecutivo: “Adesso, con l’autunno, il governo deve mettere al centro delle sue politiche la questione del lavoro. C’è poco da fare, con questa disoccupazione così alta è difficile incidere sul prodotto interno lordo”.

Una strada che determina il cambio di strategia all’interno della minoranza che è uscita sconfitta, prima dalle primarie del 8 dicembre scorso e poi dalla staffetta fra Enrico Letta e l’attuale premier. Il “cambio” di strategia, in primis, prevede la rottura del silenzio. “In questi mesi lo abbiamo lasciato fare, da adesso però pretendiamo che si torni a discutere”, mormora con vena polemica un deputato che si rifugia nell’anonimato. Perché adesso vuoi per l’alone di mistero che aleggia sull’incontro tra Renzi e il condannato B., vuoi per i contenuti del Patto del Nazareno dentro cui ci sarebbe un sistema elettorale con i capilista bloccati e le preferenze, gli oppositori torneranno piano piano a farsi sentire. Il refrain che impazza fra i capannelli dei parlamentari democratici “non renziani” è il seguente: “Matteo è indebolito, il decreto sugli 80 euro non ha funzionato, per giunta si fa dettare la linea da Berlusconi: se non sta attento, lo verranno a prendere a calci…”.

Insomma il giorno della doccia fredda incide sugli umori delle minoranze interna al Pd, che d’un tratto si vedono sfilare in Transatlantico con i visi distesi e i sorrisini. Si annovera persino un colloquio lungo mezz’ora fra Pier Luigi Bersani, tornato a rivestire il ruolo di padre nobile della minoranza, e il “ribelle” Pippo Civati. Il contenuto del briefing? Non è dato sapere, di certo – scherza chi conosce entrambi, “non avranno parlato del prossimo campionato di calcio”. In un angolo, invece, i renziani che preferiscono scansare i cronisti e trincerarsi nel silenzio. Semmai si scorge la sagoma di Dario Parrini, segretario regionale del Pd in Toscana e fedelissimo dell’inquilino di Palazzo Chigi, che parla fitto fitto con un altro renzianissimo come David Ermini.

In Transatlantico tra un voto e un altro sugli ordine del giorno al dl competitività capannelli su capannelli discutono sulle sorti dell’esecutivo, appeso ad una situazione economica che i più definiscono “preoccupante”. C’è chi si proietta in avanti, e prefigura un ritorno al voto nella prossima primavera. E c’è chi invece, come il bersaniano Alfredo D’Attorre considera lo spettro delle urne “uno scenario totalmente fuori dalla realtà” e ai taccuini de ilfattoquotidiano.it scandisce la strategia di Largo del Nazareno dei prossimi mesi: “Il dato sul Pil è molto negativo e conferma la necessità di concentrare ogni sforzo sulla situazione economica. Da fine agosto inizio settembre dovremo spostare ogni attenzione sulla situazione economica e sulle riforme da attuare”. Ma che ne sarà dell’Italicum, della riforma della legge elettorale, approvata lo scorso 12 marzo a Montecitorio? “La legge elettorale – sottolinea D’Attorre – va affrontata con calma rispetto alle riforme economiche. Del resto soltanto il 3% degli italiani considera una priorità la riforma della legge elettorale”.

Una parola, “calma”, che rimanda a data da destinarsi la discussione sulla legge elettorale. E rovina i giochi del premier, che non intende affatto mollare. Perché a sera quando la giornata della doccia fredda sta per concludersi Matteo Renzi si affida ad una lettera indirizzata ai parlamentari della maggioranza per rilanciare sui prossimi passi dell’esecutivo e, soprattutto, sull’Italicum: “La riforma elettorale, con la garanzia di un vincitore e la stabilità per chi vince. Passata la prima lettura alla Camera, alla ripresa andremo in Senato”. La lettera, però non convince affatto la maggior parte dei parlamentari presenti in Transatlantico perché mostra “una certa debolezza e sembra quasi voglia tornare alle urne al più presto”. Lettera che, per inciso, stando ad alcuni civatiani, non sarebbe arrivata all’interno gruppo: “Riveda la mailing list perché ad alcuni parlamentari vicino a Civati non l’hanno ricevuto”. E, soprattutto, perché – si lamenta la minoranza Pd e non solo – “da un lato si introducono per finta le preferenze e dall’altro si bloccano i capilista. Ma con l’attuale numero di collegi che sono circa 120 il 90% degli eletti sarebbero nominati. E allora cosa cambia? Meglio i collegi uninominali con le primarie obbligatorie”. Ma l’ex Cavaliere non ne vuol sapere….

Twitter: @GiuseppeFalci

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