Gli anni Ottanta, in campo televisivo, in Italia, hanno segnato un netto cambio di direzione mettendo in moto un appiattimento e un abbassamento qualitativo senza pari in Europa. Tale arretramento civico e intellettivo lo abbiamo scoperto con il Drive-In e ce lo siamo portati in casa, mano nella mano, fino ai giorni nostri con Grandi Fratelli, Isole dei Famosi, Amici, parenti e compagnia bella. Perché una cosa era certa, anzi due: al peggio non c’è mai fine e – il più bravo vince – è solo una favola. L’assegnazione dei fondi pubblici per i progetti tv era ed è un strumento-chiave grazie al quale questa dealfabetizzazione cinematografica è stata pianificata per decenni.

Comprensibile è il fatto che la tv commerciale abbia cavalcato questo svilimento: essa, si sa, ha ben chiaro l’obiettivo finale, il profitto. Dopotutto era stato proprio grazie alle leggi su misura fatte da Craxi che le frequenze, servite su un piatto d’argento, hanno potuto galoppare nelle immense praterie italiane senza steccati, regole e concorrenza. La diseducazione, oltre che meno impegnativa, è pure più remunerativa in termini pubblicitari e col tempo in termini politici. Un popolo cresciuto a reclame e divertissementscrederà sempre a tutto in quanto, disabituato a porsi delle domande, rimane sprovvisto di coscienza critica.

Meno comprensibile invece il fatto che la tv pubblica abbia seguito a ruota questo pessimo esempio, nonostante essa abbia o avrebbe dovuto avere una mission civica, educativa o quantomeno sensibile alla portata artistico-intellettuale e non solo a quella del soldo.

Da pochi giorni possiamo dire invece che qualcosa di diverso è successo, concretamente, anche se per adesso è solo sulla carta, per di più virtuale. La vigilanza Rai ha imposto alla direzione Rai Fiction di pubblicare sul proprio sito due documenti importanti: le linee editoriali e le indicazioni per le società di produzione, ovvero i criteri e le modalità di selezione dei progetti tv e cinema. Voi direte che c’è di nuovo? Se non erano scaricabili online fino a ieri, figuriamoci se non erano disponibili altrove, per esempio alla reception di Viale Mazzini. Ebbene no, non solo non erano disponibili, ma semplicemente non esistevano. Quindi i produttori (piccoli o indipendenti) brancolavano nel buio amministrativo mentre alle famose Happy Five venivano assegnati i 194 milioni, punto. Ora i criteri di scelta sono scritti e non tramandati o ereditati e ciò dovrebbe permettere a tutti di seguire uno stesso iter, senza corsie preferenziali.

Mi sembra un primo piccolo ma importante passo per arginare la dealfabetizzazione cinematografica e invertire la tendenza. Possiamo ora sperare che in Rai la fiction sia finita. Non certo la fiction tv. Ma la fiction che regnava nelle stanze dei bottoni dove si decide se e quali fondi pubblici assegnare. Fino ad ora la prassi era sconosciuta: non c’erano linee-guida chiare, né regole scritte, ma solo l’ombra di una competizione fantasma e una concorrenza che facesse dubitare di essere basata su regolamenti certi.

Ma perché tutto questo è a mio avviso così importante? Oltre al mero interesse di categoria, mi preme rispolverare il mitico refrain dell’intramontabile Sugar Fornaciari, – solo una sana e consapevole competizione salva il giovane dall’azione lobbista -. La mia generazione ha subito questa deriva televisiva fin dalla tenera età preadolescenziale. Per cui oggi la tv è quella accozzaglia di palinsesto volgare e vuoto che ci ritroviamo e al quale ci siamo pure abituati: le coscienze si sono assuefatte, l’apatia serale univoca attanaglia giovani e vecchi da nord a sud.

Ma così non era in passato e così potrebbe non essere in futuro. Un ministro della Cultura dovrebbe avere ben chiaro che per fare del cinema di qualità è prima necessario avere un pubblico di qualità che desideri vedere quel tipo di prodotto. Per avere quel pubblico, bisogna educarlo (alla qualità) nell’arco di più generazioni, come avviene in Francia. La tv pubblica potrebbe tornare ad essere lo strumento principale per rialfabetizzare cinematograficamente i giovani del paese di Fellini.

Articolo Precedente

Renzi in comunicazione sta commettendo l’errore di Nixon

next
Articolo Successivo

Equo compenso, l’Ordine dei giornalisti ricorre al Tar: “Violazione della legge”

next