Partirà sabato 2 agosto e si protrarrà fino al 6 dicembre una di quelle manifestazioni che rappresentano una specie di miracolo nello scenario culturale italiano: il festival “Dallo sciamano allo showman”, che si svolgerà nello scenario suggestivo della Valle Camonica. Siamo alla dodicesima edizione. Perché miracolo? Perché non è un festival che serve solo a spendere in maniera approssimativa soldi pubblici e privati: ha un criterio, una poetica, un motivo, ed è organizzato con professionalità e saper fare, da esperti del settore che negli anni hanno saputo coinvolgere il meglio della cultura italiana di determinati ambiti.

Ho scambiato quattro chiacchiere con la direttrice artistica, Nini Giacomelli, affermata autrice di canzoni, testi teatrali, libri e altro ancora.

Permettimi di dirti che il festival che dirigi ha un titolo meraviglioso: lo sciamano è il demiurgo, che carpisce le sensibilità e la trasforma in arte, è il passaggio dal rito al teatro…
Grazie. L’intento iniziale è stato quello di creare un evento che ci permettesse anche di far conoscere il nostro territorio, nel quale operiamo: la Valle Camonica. Una bellissima valle montana, alla quale nulla manca dal punto di vista paesaggistico, storico e culturale. Le “nostre” incisioni rupestri – Patrimonio Unesco – ci sono sembrate un buon argomento dal quale partire e trarre forza. Tra le migliaia di figure presenti sulle rocce, lo sciamano ci parve la più adatta allo scopo.

La scelta del titolo “Dallo sciamano allo showman” sottolinea il legame che l’umanità ha sempre attribuito agli aspetti del potere medianico e al potere mediatico. Il mondo della “rete” e delle comunicazioni di massa da un lato e quello del prepotente ritorno a nuove tradizionali esigenze di spiritualità dall’altro, sono due mondi che si intrecciano e a volte si fondono. Da qui il neologismo, nato dalla contrazione dei due termini, che dà origine ad una delle Targhe che si consegnano nel corso del Festival: Targa Shomano.

Dal rito al mito. Dallo sciamano allo showman. Un fortunato calambour che diverte e incuriosisce anche fuori dai confini nazionali.

Il sottotitolo è “Festival della canzone umoristica d’autore”, come si conciliano e perché umorismo e canzone d’autore?

Ridere come terapia, come cura ai tanti mali che ci assillano quotidianamente. L’umorismo permette di andare in profondità, con leggerezza.

Del resto il primo documento discografico del nostro Paese, che risale al 1895, è La risata, del cabarettista napoletano Bernardo Cantalamessa. La risata è venuta prima della sofferenza, nella canzone come nel cinema, come forse nel teatro stesso. Da allora, la canzone umoristica, comica, satirica, scollacciata, spensierata ha sempre accompagnato quella seria, impegnata e/o sentimentale, così come la farsa ha affiancato la pièce, o Ridolini l’opera di Dreyer. Forse solo Chaplin ha saputo esprimere insieme satira e serietà. I cantanti umoristi sono tanti. Basta pensare a Maldacea e alle sue macchiette, a Petrolini e alle sue filastrocche demenziali (ma quanto solo demenziali?), a Rodolfo de Angelis, Rascel e Totò; a Gaber, Jannacci e Arbore; al Benigni cantato degli inizi e, ancora più vicino a noi, a Rino Gaetano, Capossela, Van de Sfroos e ai musicisti targati Zelig.

La canzone umoristica non occupa uno spazio minore, è stato quindi naturale che Sergio Bardotti come gli amici del Club Tenco mi seguissero, concedendomi quel “d’autore” al quale, da paroliere, tenevo moltissimo.

Ma com’è nata l’idea di un Festival che ogni anno si protrae per diversi mesi e con ospiti di livello? Da Capossela a Crozza, da Bollani a Vecchioni, da Jannacci a Lauzi, Vanoni e molti altri…

Nasce dall’amore smisurato di Sergio Bardotti, Bibi Bertelli e mio, per la Valle Camonica, prima ancora che per la musica e il teatro, che sono il nostro pane quotidiano. Nasce dalla voglia di aprire le porte alla canzone d’autore attraverso un progetto composito fatto di convegni, mostre, concerti e tanto altro, per far uscire l’afflato valligiano. È un luogo meraviglioso, la Valle dei Segni, che purtroppo ha sofferto per decenni politiche culturalmente e turisticamente impreparate, distratte o, peggio ancora, fatte di personalismi. Confido nei giovani.

Ci descrivi l’edizione di quest’anno? Si è oramai all’undicesima

Sono tempi durissimi per la cultura, i programmi sono sempre più da adattarsi a budget capestro. Ogni anno considero il Festival un piccolo miracolo nato dall’arte dell’incontro. Quest’anno saremo, per il secondo anno, a San Francisco dove il New Performance Group organizza al Society Cabaret: due serate di spettacolo e due mostre dedicate ai Pitoti camuni (così chiamiamo in loco le incisioni rupestri), l’una è un vernissage dell’artista camuno – ma residente da vent’anni a San Francisco – Fabio Sanzogni e l’altra è l’esposizione delle vignette di Pitoon, i pitoti in cartoon realizzate da giovani artisti e curate da Sergio Staino e Vanna Vinci.

Mentre in Valle si esibiranno Mauro Pagani, Piji, Zibba, Giovanni Block, Ennio Marchetto, Mirco Menna, TraffiKa.

Da Barcellona e dal connubio con il Festival Cose di Amilcare, arriveranno I Dinatatak. Poi una serata a cura di Enrico de Angelis – responsabile artistico del Club Tenco –, dal titolo “A dirlo non son buono, mi proverò a cantar”: una rievocazione delle canzoni degli anni 14-18, non le canzoni direttamente legate alla guerra, ma quelle che nascevano e si cantavano in quegli anni. E altro ancora…

Leggi il programma

Per info www.shomano.it

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