Non solo i gruppi energetici. Anche il Leone di Trieste è nella lista delle aziende italiane che pagano il conto della crisi russa e delle conseguenti sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione europea. Nel secondo trimestre dell’anno le assicurazioni Generali hanno infatti svalutato per 190 milioni di euro la quota del 38% detenuta nella compagnia russa Ingosstrakh. Il valore della partecipazione cala così a 281 milioni, a causa “da un lato del peggioramento delle condizioni del mercato russo e dall’altro del fatto che il business auto lì sta peggiorando”, ha spiegato il direttore finanziario Alberto Minali durante la presentazione dei risultati del semestre. A questo “si è aggiunta la svalutazione del rublo”. Una serie di fattori avversi che non hanno lasciato scelta a Minali e all’ad Mario Greco. Che hanno inoltre dovuto ridurre di 113 milioni il valore di bilancio della banca svizzera Bsi, di recente ceduta a Btg Pactual. L’utile netto del Leone, nel trimestre, è calato di conseguenza a 416 milioni contro i 478 dei primi tre mesi dell’anno. Pur con effetti contenuti sui profitti dell’intero semestre, che si sono assestati sopra quota 1 miliardo di euro (1.075 milioni), poco sotto il risultato dello stesso periodo del 2013.

L’ex “ufficio di assicurazione” dell’Urss controllato dall’oligarca dell’alluminio – Ma che cos’è Ingosstrackh? Si tratta dell’erede dell'”ufficio estero di assicurazione” dell’Unione sovietica, creato in piena era staliniana (1947) e privatizzato nel 1992, dopo la dissoluzione dell’Urss. Le Generali ne sono diventate socie nel 2007 acquistando il 49% del fondo Ppf Beta, controllato dal finanziere ceco Peter Kellner, che della compagnia aveva in pancia il 38,5%. La maggioranza faceva e fa ancora oggi capo all’oligarca moscovita Oleg Deripaska. Nel gennaio 2013 il Leone, fresco di cambio al vertice con l’arrivo di Greco e deciso a puntare sul mercato russo, ha rilevato da Kellner, per un totale vicino ai 2,5 miliardi di euro, la sua quota nella joint venture Generali Ppf Holding. Mettendosi così in tasca l’intera partecipazione in Ingosstrakh, nel cui consiglio di amministrazione sarebbero entrati di lì a poco come rappresentanti di Trieste l’ex ambasciatore Giancarlo Aragona, l’ex direttore alleanze e strategie di Alitalia Giorgio Callegari, che siede anche nel cda di Aeroflot, e Igor Ivanov, ministro degli Esteri russo dal 1998 al 2004. Da quel momento, dunque, gli uomini di Greco hanno lavorato fianco a fianco con i consiglieri indicati da Deripaska. Cioè il 46enne patron del gruppo Rusal, magnate dell’alluminio i cui interessi, attraverso la holding Basic Element, spaziano però dall’energia alle costruzioni passando per aviazione, agricoltura e automotive. In passato la sua Rusprom Auto è stata anche alleata di Fiat per promuovere la vendita di auto del Lingotto in Russia. E nel 2008 Deripaska, vicino al presidente Vladimir Putin ma chiacchierato per presunti legami con gruppi criminali (motivo per cui gli Usa dal 2006 gli negano il visto di ingresso), è arrivato a essere l’uomo più ricco del Paese. Ma da tempo i suoi affari sono in crisi: la scorsa primavera il colosso Rusal ha scampato per un soffio il default a causa di una montagna di prestiti bancari in scadenza. E le ricadute dei suoi problemi finanziari si sono sentite anche in Italia. Lo stabilimento di Portovesme della Eurallumina, che fa parte della galassia dell’oligarca, è infatti inattivo dal 2009 e oltre 300 dipendenti sono in cassa integrazione in deroga.

Greco dice no a Renzi: “Non faremo prestiti alle imprese, non è il nostro mestiere” – Un intreccio, quello russo, che sta dunque costando caro a Greco. Il quale, sempre durante la presentazione della semestrale, ha messo bene in chiaro di non avere alcuna intenzione di “cambiare mestiere” e iniziare a fare credito alle aziende al posto delle banche. Come vorrebbe il governo Renzi, che nel tormentato decreto Competitività ha inserito anche misure per la liberalizzazione del settore creditizio e l’apertura del mercato alle compagnie assicurative. “Le Assicurazioni Generali non faranno mai direttamente prestiti alle imprese, perché non sono una banca e valutare il merito di credito non è il loro mestiere”, ha detto l’ad del gruppo, che nel semestre ha messo a segno un aumento del 3,4% della raccolta premi, salita a 35,4 miliardi, e una crescita del 9,5% del risultato operativo (sopra i 2,5 miliardi). Poco spazio per le interpretazioni, dunque, sulla possibilità di intervenire direttamente per ridurre il credit crunch. Anche se, ha ricordato Greco, la compagnia fa già la sua parte nel sostenere l’economia reale “finanziando progetti infrastrutturali e progetti di sviluppo di medio periodo. E possiamo partecipare a fondi che vengono creati da altre istituzioni finanziarie che sanno valutare il merito di credito per finanziare iniziative di sviluppo”.

Le sanzioni di Usa e Ue spaventano i big dell’energia e dell’aerospazio – Intanto in tutto il mondo i maggiori gruppi dell’energia, della difesa e dell’aerospazio stanno facendo il conto delle perdite causate dalla crisi ucraina e dalle sanzioni contro Mosca. Secondo l’agenzia Bloomberg il gruppo petrolifero Exxon è invece sotto pressione perché teme di dover abbandonare i progetti di estrazione di shale gas nell’Artico e in Siberia gestiti insieme alla compagnia statale Rosneft, che di recente ha acquisito il 13% di Pirelli. Mentre British Petroleum, che di Rosneft ha il 20% ed è il maggior investitore straniero in Russia, ha messo nero su bianco che le sanzioni potrebbero avere un impatto negativo sui suoi profitti e sulla sua reputazione. E in potenza potrebbero trovarsi in difficoltà anche le multinazionali che all’industria dei giacimenti petroliferi forniscono servizi. A partire da Halliburton, Baker Hughes e Weatherford international, che realizzano tra il 4 e il 5% del fatturato globale in Russia. La holding francese Technip ha poi abbassato le stime sui margini di profitto a causa delle conseguenze che la situazione russa potrebbe avere sul progresso del giacimento di gas Arctic Yamal. Mentre Boeing, il maggior produttore mondiale di aerei, potrebbe veder salire i costi di produzione a causa delle limitazioni all’export di titanio da parte della russa Vsmpo-Avisma, da cui oggi acquista il 35% del metallo. La Russia stessa, d’altronde, rischia quest’anno di veder scendere a zero il tasso di crescita del Pil a causa del blocco all’importazione di tecnologie per la trivellazione dei pozzi di idrocarburi. 

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