La schizofrenia è la più grave delle malattie psichiatriche ed ha una frequenza di circa l’1%della popolazione. Questa frequenza è altissima: per dare un’idea, se i malati fossero distribuiti in modo del tutto casuale nella popolazione, quando prendiamo un autobus nell’ora di punta dovremmo avere almeno uno schizofrenico tra i nostri compagni di viaggio. Le cause della malattia sono sempre state oscure anche se è noto da oltre trent’anni che la costituzione genetica dell’individuo è il fattore principale. Un articolo molto recente apparso sulla rivista Nature identifica 108 loci genetici associati con la malattia. Un locus è una certa regione di un cromosoma, e non corrisponde esattamente ad un gene, però in prima approssimazione si può dire che l’articolo individua almeno un centinaio di geni. Un commento della stessa rivista definisce “enorme” questo risultato per due ragioni: razionalizza una serie disparata di risultati pubblicati nel corso degli ultimi quarant’anni di ricerca e trova associazioni nuove ed inattese.

Tra i risultati attesi che questo studio conferma, c’è l’associazione tra la schizofrenia e alcuni geni connessi con il funzionamento del neuromediatore dopamina (ad esempio uno dei geni identificati codifica per un recettore della dopamina). Tra i risultati inattesi c’è la correlazione tra la malattia e alcuni geni del sistema di istocompatibilità, quello responsabile del rigetto dei trapianti e di altre reazioni immunitarie, che richiama una ipotesi spesso riproposta sulla correlazione tra schizofrenia e infezioni o malattie autoimmuni. Ovviamente i risultati pubblicati non danno alcun supporto alle ipotesi psicologiche o psicoanalitiche sull’origine psicogena della malattia: fattori psicodinamici (una volta si parlava del rapporto precoce con la madre) potrebbero forse esistere, ma il loro peso viene sempre più ridimensionato. Se pensiamo alla congerie di stravaganti ipotesi psico-sociodinamiche formulate a partire dagli anni ’60 e al carico di sofferenze e responsabilità riversato sulle famiglie dei malati ci rendiamo conto di quanto sia importante questo risultato anche dal punto di vista culturale e sociale.

E’ interessante anche considerare come un risultato importante come questo, sebbene abbia una data di pubblicazione precisa, sia difficile da isolare nel contesto di storia della scienza. Infatti, l’importanza dei fattori genetici nella schizofrenia era stata ipotizzata fin dagli anni ’20 del secolo scorso e studi su gemelli mono- e dizigoti ne avevano dato prove certe fin dal 1960. Geni associati alla schizofrenia erano stati ipoteticamente identificati in precedenza, ma solo alcuni erano stati confermati negli studi successivi. La novità dello studio attuale sta nell’alto grado di verosimiglianza e solidità delle identificazioni, grazie anche al fatto che il genoma umano è stato interamente sequenziato (nel 2000). Non solo non è facile isolare questo risultato nel tempo, rispetto a risultati precedenti, ma non è neppure facile assegnarne il merito ad uno specifico autore. Gli autori della pubblicazione citata non sono infatti individualmente nominati: la firma collettiva è in quella dello “Schizophrenia Working Group of the Psychiatric Genomics Consortium“.

L’idea che una scoperta scientifica sia il prodotto di uno scienziato solo che in un certo momento compie un esperimento rivoluzionario e capisce una grande legge della natura, se è mai stata vera, appartiene al passato; più probabilmente è una fantasia del romanticismo di primo ottocento. Ed è ovvio che l’idea di poter finanziare i “top researchers“, in voga in molti circoli elitistici a partire dallo European Research Council è puerile: la ricerca moderna è una impresa corale di molti.

Infine, una parola sull’artificiosa distinzione tra la scienza pura ed applicata. Non può sfuggire a nessuno che identificare i geni responsabili della schizofrenia sia prima di tutto un progetto di ricerca di base, tanto più che valide terapie sono già disponibili. Ciononostante le ricadute sociali di questo tipo di scoperte sono molto grandi a partire dalla rivalutazione dell’idea stessa della malattia.

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