Dopo la pubblicazione del secondo “Rapporto sul benessere equo e sostenibile” in Italia, uno studio sulle diverse dimensioni del benessere mostra che le Regioni italiane sono divenute progressivamente più simili tra loro, ma la loro posizione relativa rimane sostanzialmente immutata nel tempo.
di  e  (Fonte: lavoce.info)

Come varia il benessere tra le Regioni

Il 26 giugno 2014 è stato presentato dal Cnel e dall’Istat il secondo “Rapporto sul benessere equo e sostenibile” (Bes) in Italia. Ma quanto sono diverse le Regioni italiane in termini di benessere? Le differenze territoriali ripropongono il divario Nord-Sud in termini di Pil? Nel tempo, le Regioni italiane sono diventate più simili tra di loro? Quali aspetti del benessere sono maggiormente eterogenei a livello sub-nazionale?
Per rispondere a queste domande, in uno studio empirico (abbiamo utilizzato la banca dati Istat sul Bes) abbiamo calcolato per dieci dimensioni del benessere (cultura e tempo libero, istruzione; lavoro; ambiente; servizi pubblici essenziali; salute; condizioni materiali di vita; sicurezza personale; ricerca e innovazione; relazioni sociali) il rispettivo indicatore sintetico per gli anni 2004-2010, attraverso un’analisi statistica in componenti principali basata su un insieme di 57 variabili a livello regionale. Usando gli indici sintetici come nuove variabili, abbiamo anche costruito, con la stessa metodologia, un indicatore complessivo di benessere per ciascuna Regione italiana.

Per oltre la metà delle dimensioni del benessere (cultura e tempo libero, lavoro, condizioni materiali di vita, relazioni sociali, servizi essenziali, salute, ricerca e innovazione), i risultati riproducono lo storico divario tra le Regioni del Nord e quelle del Sud, con queste ultime che occupano stabilmente le posizioni di coda. Il divario di benessere tra le Regioni è, dunque, almeno altrettanto rilevante di quello in termini di Pil. 
Guardando all’indicatore di benessere complessivo, la frattura dell’Italia tra le Regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno diventa ancora più netta (figura 1). La Regione che soffre di più per carenza di benessere complessivo è la Campania, che si posiziona all’ultimo posto della graduatoria in cinque anni su sette, mentre la migliore performance è osservata per tutto il periodo in Valle d’Aosta. Le Regioni a più elevato benessere complessivo sono cinque: Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Veneto; seguono le altre Regioni del Centro-Nord e l’Abruzzo. Scorrendo la classifica troviamo Basilicata e Lazio con livelli di benessere minori dei gruppi precedenti, ma non così bassi come quelli riscontrabili nell’ultimo gruppo (Sardegna, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia, Campania). La dinamica nella graduatoria dell’indice di benessere risulta essere assai scarsa: all’inizio del periodo 2004-2010 le Regioni che occupano le prime e le ultime cinque posizioni rimangono invariate sette anni più tardi.

Figura 1 – Indice di benessere delle Regioni italiane (2010)

Regioni-mappa-ricchezzaI risultati evidenziano una forte correlazione lineare positiva tra il Pil pro-capite e l’indice di benessere complessivo delle Regioni. La figura 2 mostra che le Regioni che all’inizio del periodo associano bassi livelli di Pil pro-capite a ridotti livelli di benessere complessivo, così come quelle che vantano sia alti valori di Pil pro-capite che elevati standard di benessere, sono le stesse nel 2010.

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Qualcosa è cambiato

Dunque, niente è cambiato? Non proprio. Nei sette anni presi in esame, le Regioni italiane sono divenute più simili tra di loro, come mostra l’andamento in diminuzione del coefficiente di variazione (convergenza σ), sia in termini di Pil pro-capite che di benessere complessivo, anche se si assiste a un graduale rallentamento del processo negli ultimi anni (figura 3). La convergenza in termini di benessere complessivo si verifica a un tasso più veloce di quel che avviene in termini di Pil pro-capite.

Questi andamenti non sono uniformi per le singole dimensioni del benessere: per alcune persistono rilevanti disparità. In particolare, significative divergenze caratterizzano i domini “sicurezza” e “cultura e tempo libero” per tutto il periodo considerato, mentre la dispersione tra le Regioni italiane si rivela leggermente in crescita per “salute” e “condizioni materiali di vita”. Per quattro dimensioni (istruzione, ambiente, servizi pubblici essenziali, ricerca e innovazione) la convergenza non è un processo continuo, anche se alla fine del periodo le Regioni italiane sono più simili rispetto all’inizio. Soltanto per due dimensioni del benessere (lavoro e relazioni sociali) la divergenza tra le Regioni si è ridotta nel corso dell’intero periodo considerato. La minore dispersione non modifica, tuttavia, la posizione relativa delle Regioni all’interno della distribuzione (convergenza γ): più simili, eppure sostanzialmente immobili nella graduatoria del benessere.

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Bio degli autori

Antonella Rita Ferrara – Laureata in Economia Applicata all’Università della Calabria. Attualmente iscritta al terzo anno del Dottorato di ricerca in scienze economiche e aziendali del Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza dell’Università della Calabria, è stata visiting researcher per un anno presso l’Università di Groningen (Paesi Bassi). Si interessa prevalentemente di Economia regionale e valutazione delle Politiche Europee.
Altri articoli di Antonella Rita Ferrara.

Rosanna Nisticò – Professore Associato presso il Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza dell’Università della Calabria. Si occupa prevalentemente di Economia regionale, Economia dei settori produttivi, Economia dell’impresa. Ha conseguito un Dottorato di Ricerca (Università di Napoli) e il Diploma di Specializzazione in Economia dello Sviluppo (Centro Studi Ricerche per lo Sviluppo del Mezzogiorno –Portici (NA)). Insegna Microeconomia, Economia dell’impresa, Economia delle Istituzioni.
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