La tappa più corta di questo Tour è stata anche la tappa più velenosa: quattro salite negli ultimi 67 chilometri, un setaccio implacabile. Ma anche un palcoscenico che ha consacrato il talento prepotente di Rafal Majka. Il polacco della Tinkoff-Saxo vola sui Pirenei, dopo aver dispiegato le alpi sulle Alpi di Risoul. Compirà venticinque anni a settembre, è cresciuto ciclisticamente in Italia, ha lo stesso procuratore italiano di Peter Sagan, sarà sicuramente con lo slovacco uno dei corridori più richiesti del ciclomercato che si apre ufficialmente il primo agosto. La maglia gialla Vincenzo Nibali conquista un significativo terzo posto che è come una vittoria. Dietro un altro siciliano, Giovanni Visconti, che corre per la Movistar di Alejandro Valverde. Lo spagnolo ha buscato da Nibali altri cinquanta secondi, e pure la nouvelle vague dei francesini: la maglia bianca Thibaut Pinot, terzo in classifica, pimpante nel tappone di Carcassonne, un po’ meno oggi, dove ha faticato per raggiungere il rivale Romain Bardet che ha tentato in discesa una “fuitina”, frustrata immediatamente dalle rampe dell’arrampicata finale a Saint-Lary Pla d’Adet, una delle tante stazioni invernali che piacciono agli organizzatori del Tour.

Il ragazzino Bardet è stato consolato dal numero rosso che indosserà domani quale segno che distingue il più combattivo. Il ragazzo era deluso: pensava di andare più forte. In montagna i pensieri vanno più forti delle gambe. Si può dire, scimmiottando Shakespeare, tanto rumore per nulla. Invece no. Le apparenze ingannano. Gli avversari di Nibali hanno sperato in uno appannamento, perché lo scatto di Thibault Pinot che aveva distanziato di una cinquantina di metri la maglia gialla prima dello scollinamento al Port de Balès (al termine di un’ascesa di 11,7 chilometri e una pendenza media del 7,7 per cento) li aveva illusi. In realtà, Nibali si era risparmiato uno sforzo inutile, con diciannove chilometri di discesa. Piuttosto che raggiungere Pinot aveva preferito bere subito. Invece oggi, bastava vedere il gruppetto dei migliori per capire l’andazzo.

Nibali, composto, senza mai sollevarsi dal sellino, marciava tranquillo. Governava la cadenza. Appena qualcuno ha tentato l’allungo, è andato a riprenderlo. Poi, sull’ultima salita, mollava la compagnia: un primo scatto, così per assaggiare la reazione degli avversari, a cinque chilometri dal traguardo. Poi, un secondo scatto, più deciso, che fulminava i compagni di gruppetto. Solo il francese Jean-Christophe Péraud riusciva a stargli dietro. Poco per volta, Nibali riprendeva chi era avanti, a cominciare da uno stremato ma orgoglioso Bardet. Non solo Nibali ha dominato la corsa. L’ha controllata, facendo sgobbare la squadra sino al terzo colle: Michele Scarponi a dettare l’andatura, regolare, per non perdere i compagni dell’Astana, uno dei quali, Jakob Fuglsang, si infilerà nella seconda e decisiva fuga di giornata.

La prima ora è stata affrontata ad oltre cinquanta all’ora. A fatica si era avvantaggiato un gruppetto d’otto corridori, ma il gruppo vegliava e non li lasciava prendere il largo. Dentro, c’erano degli specialisti di fughe a perdere, come il campione svizzero Martin Elmiger, ma anche finisseur come il francese d’origine algerina Blel Kadri, vincitore di una tappa, e l’esotico giapponese Yukiha Arashiro. Prima della partenza, lo svizzero Michael Albasini aveva chiesto scusa all’unico corridore di colore in gara, il ventiseienne occhialuto Kevin Reza, per averlo insultato con espressioni razziste il giorno prima. Un episodio spiacevole, segno di tensioni e di fatica. Kevin è di origini caraibiche, essere l’unico nero in corsa lo mette spesso in vetrina, purtroppo, talvolta, bersaglio di stupidi e xenofobi. Più interessante, la terza fuga, nata sulle ceneri delle altre e rinforzata dai cacciatori di tappa e di Gran Premi della Montagna (tra i più attivi, Visconti e il redivivo Alessandro De Marchi, sofferente nei giorni scorsi di una fastidiosa colite). Purito Rodriguez voleva riprendersi la maglia a pois indossata da Majka, che lo marcava stretto, aiutato da Nichola Roche, il figlio del grande Stephen Roche che vinse nel 1987 Giro, Tour e Mondiali. Terzo incomodo, Thomas Voeckler, altro predatore di colli.

Nella fuga si notava la febbrile iniziativa di due della Sky, in particolare il bielorusso Vasil Kiryienka, bravo scalatore. Sul Col du Poirtillon, Purito Rodriguez si produceva in una volata formidabile che lasciava stecchito Roche. Ai piedi del Peyresourde allunga Kiryienka, seguito a distanza dal duo Roche-Jesus Herrada. Il gruppo della maglia gialla non reagisce: si mantiene a cinque minuti e rotti. Transita in cima per primo, Roche è secondo. Il 33enne bielorusso ha vinto due tappe al Giro (nel 2008 e nel 2011), è stato un brillante pistard (campione del mondo della corsa a punti), ha fatto sua una tappa della Vuelta 2013. Lo attende il Col di Val Louron-Azet. Dietro, intanto, si agitano gli uomini di Pinot: vanno in quattro a tirare il gruppo. La maglia bianca medita l’offensiva. I rivali dell’AG2R La Mondiale si appostano a lato della maglia gialla: sono in tre, Bardet e Péraud, coadiuvati da Ben Gastauer. Nibali non se ne preoccupa. Ha accanto Scarponi e l’estone Tanel Kangert. Bisogna capirli, i francesi: non vincono il Tour dal 1985, quando si impose Bernard Hinault. Il quale sostiene da giorni che c’è il Tour di Nibali. E quello degli altri.

Hanno trasformato il tornante dal quale scattò Raymond Poulidor (l’eterno secondo, l’eroe perdente che non indossò neanche una volta la maglia gialla) per andare a vincere nel 1974. Kiryienka viene ripreso a 500 metri dal Gran Premio della Montagna: dove duellano Purito e Majka, che passano nell’ordine, ma si vede che lo spagnolo ha esaurito le scorte mentre il polacco sembra in palla. Nel frattempo, il gruppo della maglia gialla esplode. Rimangono in dieci, sotto le accelerazioni dell’AG2R: Gastauer, Péraud, Bardet, Pinot, Kangert, Nibali, Ten Dam, Valverde, Gadret e il resuscitato Tejay Van Garderen. Il resto, uno sparpaglìo. Bardet attacca, guadagna in discesa. Nibali, nei pressi della chiesa di Azet, ha un improvviso cambio di direzione, sfiora il cordolo del marciapiede, un brivido di paura scuote il Tour: ci manca che anche la maglia gialla finisca in ospedale.

Macché: “Ho scelto di andare da quella parte, perché mi trovavo meglio”, sdrammatizzerà Nibali. In testa sono rimasti in quattro: Roche, Moinard, Visconti e Pierre Rolland. Mancano nove chilometri. Scaramucce. Scattano a ripetizione Rolland, Roche, superata la “curva Poulidor”, Visconti allunga ma è subito ripreso. Ci riprova poco dopo. Roche lo raggiunge. I due vanno su, ma Roche non ne ha più. Visconti aumenta la cadenza, parte alla conquista di un sogno. Majka, nel frattempo, rinviene sul gruppetto Rolland. Il tempo di rifiatare e se la fila di nuovo. Visconti resiste, ma il polacco ha un passo più deciso. Indietro, a cinque chilometri e mezzo Nibali allunga una, due volte, Péraud salta alla sua ruota. Guadagnano secondi su secondi. Una rimonta incredibile, Péraud tenta persino di scattare ma è placcato immediatamente. Davanti, Majka raggiunge Visconti. I due si scambiano qualche parola. A due chilometri dal traguardo Majka scatta, Visconti abbassa la testa, furioso e deluso.

Dimenticavo la mini crisi di Valverde. Che riesce a limitare i danni. Questa la cronaca di una gara tanto corta quanto lunga nella sua trama. Ha vinto Majka. Ha vinto Nibali. Ha vinto in un certo senso Péraud, il migliore dei francesi, trentasette anni suonati, un argento olimpico nel…ciclocross ai Giochi di Pechino, ottimo cronoman. Ha perso ma non ha perso Visconti, perché in una tappa del Tour come questa, il secondo posto onora una carriera. Ottimo, infine, Alessandro De Marchi, quinto, altro nome su cui si puntano gli interessi e i desideri di parecchie formazioni, a cominciare dall’Astana. Il Tour conclude il trittico dei Pirenei con il mitico Tourmalet e l’arrivo in quota all’Hautacam. Traguardo che Nibali ha nel suo mirino: non vuole vincere il Tour, vuole entrare nella leggenda del ciclismo. Intanto, è arrivato a quota 14 giorni in maglia gialla, quanto Gastone Nencini.

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