Non solo la compagna, anche la prima moglie. Matteo Salvini sembra essere afflitto da una particolare abitudine: far assumere dagli enti pubblici le donne che lo accompagnano. Se Giulia Martinelli, madre della seconda figlia del segretario del Carroccio (con cui si è presentato domenica al congresso della Lega a Padova), è stata assunta a chiamata nella Regione Lombardia del leghista Roberto Maroni, la ex moglie Fabrizia Ieluzzi è stata per quasi dieci anni al Comune di Milano, anche lei assunta a chiamata dal 2003 e poi confermata più volte prima da Gabriele Albertini e poi dalla giunta di Letizia Moratti.

Cambiavano sindaci, direttori generali, assessori ma lei rimaneva lì: 18 ore settimanali, tre al giorno, con compensi tra i 20 e i 36 mila euro annui (come da contratti che il Fatto ha potuto consultare). Per carità, Salvini di parentopoli proprio non vuol sentir parlare. Anzi, ne è uno dei più strenui oppositori. Quando dall’inchiesta sull’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito, spuntò la cartelletta “the family” con le spese e le paghette da migliaia di euro ai figli dell’allora Capo, Umberto Bossi, Salvini schiumava rabbia su Facebook: “La mia paghetta era 500 lire”. Pochi mesi prima i due erano in vacanza insieme, immortalati sul quad del Trota.

Era un’altra vita. Superata come si passa una porta girevole. E Salvini ne ha attraversate di porte. Oggi si mostra come un giovane della politica. In realtà, dei suoi 41 anni anagrafici, più della metà li ha trascorsi su qualche scranno: 21, per l’esattezza. Entra in consiglio comunale a Milano nel 1993 insieme all’allora sindaco leghista Mario Formentini che conquistò Palazzo Marino scansando le macerie di Mani Pulite. Nel 2004 grazie alla rinuncia di Umberto Bossi – da poco colpito da malore – Salvini diventa eurodeputato a Bruxelles e vola in Europa coi suoi assistenti: Franco e Riccardo Bossi, fratello e primogenito del Senatùr.

Negli anni del celodurismo, dell’indipendenza sbandierata a suon di pernacchie e fucili in piazza, Salvini è direttore di Radio Padania. Affianca Mario Borghezio in numerose e fantasiose battaglie, in particolare contro i “terroni” ed è stato ripreso appena due anni fa a cantare “Napoli merda, Napoli colera”. Anche questa è ormai un’altra vita, perché ora nel capoluogo campano Salvini va a cercar voti. Ma lui è stato anche “fervente comunista”.

Alle prime elezioni del fantomatico “Parlamento padano” nel 1997 Salvini è capolista della corrente Comunisti Padani: su duecento seggi ne prende appena cinque. Più o meno lo stesso risultato ottenuto alle ultime Europee dopo aver stretto una profonda alleanza con l’ultradestra di Marine Le Pen. Con l’altro Matteo (Renzi), oltre alla coerenza tra affermazioni e azioni, condivide l’esperienza televisiva: a 12 anni Salvini partecipa da concorrente alla trasmissione Doppio Slalom, condotto da Corrado Tedeschi su Canale 5. Non bastava girare la ruota, era un quiz di cultura generale. E il Matteo del nord risponde perfettamente a tutte le domande. Prometteva bene anche negli studi: nel 1992 si diploma al liceo classico Manzoni, da cui erano usciti tra gli altri Giorgio Ambrosoli, Tito Boeri ed Edmondo Bruti Liberati.

Ma per Salvini i titoli di studio si fermano lì. Tenta l’università. Corso di Storia alla Statale. Lascia dopo 16 anni, a cinque esami dalla laurea. Nel 2008 scherzando disse che sarebbe arrivata “prima la Padania libera della mia laurea”. Va detto che a differenza di molti altri politici di professione, Salvini nella sua vita ha conosciuto il lavoro. Parole tipo turni, ferie e busta paga per lui hanno un senso. Nel primo anno di università, nel 1992, per pochi mesi Salvini lavora alla catena di fast food Burghy, poi però è costretto ad andare in Comune. E così gli studi vengono abbandonati. E anche il lavoro. Ma la passione per gli hamburgher è rimasta. Si incontra con facilità in uno dei tre pub Brando di cui socio è la compagna Giulia Martinelli, insieme ad alcuni leghisti: Eugenio Zoffili (altro beneficiario di un contratto a chiamata in regione) e Fabrizio Cecchetti, vicepresidente del consiglio regionale. Quest’ultimo era finito nell’inchiesta rimborsopoli lombarda ai tempi della giunta di Roberto Formigoni.

La Corte dei conti gli contestò 49 mila euro di spese. Nonostante sia indagato con gli altri, Cecchetti è l’unico a cui la Lega ha permesso di tornare in Regione. Lui ha restituito i 49 mila euro, motivano le alte sfere. Nei fatti Cecchetti si è dimostrato totalmente in linea con la Lega salviniana: mentre il leader si scaglia contro i gay (“non mi alleo con chi si iscrive all’Arcigay”, ha tuonato al congresso) lui firma il patrocinio della Regione guidata da Maroni al Gay Pride di Milano. Perché la coerenza in via Bellerio è un principio indiscutibile come i confini della Padania. Passati dal Po ai piedi dell’Etna.

d.vecchi@ilfattoquotidiano.it  

Dal Fatto Quotidiano del 22 luglio 2014

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