Mentre nel nostro paese qualcuno sguinzaglia i Nas ad insaputa del ministero della Salute per cercare, neanche fossero pericolosi focolai di ebola, possibile gravidanze scaturite dalla recente abolizione del divieto di incostituzionalità della fecondazione eterologa, in Francia, dove l’eterologa è legale come quasi ovunque, si discute in questi giorni soprattutto di utero in affitto e madri surrogate.

Il dibattito è partito da una lettera aperta pubblica da Libération e firmata non da conservatori di estrema destra o associazioni pro life, bensì da Jacques Delors, ex presidente della Commissione europea, Lionel Jospin, ex primo ministro socialista francese, altre personalità della sinistra francese come Catherine Tasca e Marie-George Buffet, ma anche scrittrici e storiche del movimento femminile, professori universitari, psicoanalisti e sociologici. Tra le associazioni firmatarie, il Cadac, Coordinamento delle associazioni per il diritto all’aborto e alla contraccezione, il Clf, Coordinamento lesbiche francesi, il movimento Npns, Ni putes ni soumies, il Cndf, il Collettivo nazionale per i diritti delle donne.

Cosa chiedono i firmatari al presidente Hollande? Che, coerentemente con il suo impegno preso contro la legalizzazione in Francia dei contratti di madre surrogata, si opponga a una normativa che equivarrebbe al trionfo dell’industria dell’infanzia su comando, cercando altre soluzioni al desiderio di diventare genitori che non violino i diritti della madri biologiche e dei bambini.

L’appello prende posizione contro la sentenza della Corte Europea dei diritti umani che, similmente a quanto accaduto in Italia, ha sanzionato la Francia per il rifiuto di riconoscere i bambini nati da maternità surrogata come figli dei genitori andati all’estero per avere un bambino attraverso, appunto, il ricorso all’utero in affitto. E proprio quello dell’utero in affitto sarà uno dei prossimi fronti di dibattito bioetico, uno di quelli veri, sui quali serve un confronto urgente, visto che i “bambini fantasma” si vanno moltiplicando, come si moltiplicano i casi di coppie che ricorrono a questa tecnica.

Lo scontro è lacerante: da un lato, genitori che magari hanno speso anni nella vana ricerca di un bambino e che grazie a questa possibilità vedono aprirsi una possibilità insperata, fondata su un principio ormai sempre più diffuso e per molti versi sacrosanto: la separazione tra chi si prende cura di un bambino e chi lo partorisce, quella che, ad esempio, consente a un bambino adottivo di crescere felicemente in un’altra famiglia.

Dall’altro, una modalità che non può che suscitare pesanti interrogativi: come si può togliere a una madre che ha appena partorito suo figlio e, viceversa, togliere a un bambino la sua madre biologica per oltre nove mesi, come se la gravidanza non costituisse già una forma di legame inscindibile tra madre e figlio e come se dimenticasse che nei primi mesi di vita questo legame continua attraverso l’allattamento, di cui i bambini nati da madri in affitto sono spesso privati? E come evitare che madri povere vendano i loro corpi, con tutte le conseguenze fisiche ed emotive di una scelta del genere?

Per questo serve con urgenza una regolamentazione, di fronte a un fenomeno che difficilmente potrà essere arrestato e del quale bisogna però arginare le angosciose conseguenze su madri biologiche e bambini. Da noi, probabilmente, il dibattito arriverà tra anni, e comunque sempre a seguito di una sentenza nata dal ricorso di genitori “pionieri”. Nel frattempo, appunto, c’è chi manda i Nas per stanare le colpevoli di gravidanza iniziata nel più indolore dei modi (per tutte le parti in causa): da donazione di ovociti o spermatozoi. La solita farsa italiana, invece di una discussione seria sui punti che meriterebbero un vero confronto.  

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