Il Consiglio di Stato ha recentemente scritto un altro capitolo della tormentata saga dei test di ammissione a Medicina; non solo ha accolto la tesi dei ricorrenti che avevano eccepito su una violazione dell’anonimato dei candidati, disponendo la loro ammissione al Corso di Laurea, ma ha anche condannato l’università ad un risarcimento dei danni e delle spese. Sono previsti 5.000 ulteriori ricorsi ed un costo per l’università di 50 milioni di euro.

Non intendo naturalmente criticare la sentenza: i giudici avranno certamente riconosciuto un grave vizio formale nelle procedure concorsuali e non ho motivo per dire che tale vizio non vi sia stato. Però è evidente che la causa intentata dai ricorrenti non ha nulla a che fare con la giustizia ed il diritto, men che meno il diritto allo studio: la vicenda verte su un tipico cavillo da azzeccagarbugli, nella migliore tradizione del paese. I ricorrenti, infatti, non sostenevano in questo caso come in tutti gli altri casi analoghi, di essere stati ingiustamente penalizzati di persona: di essere cioè bravi e meritevoli di ammissione ed ingiustamente esclusi.

Su questo punto la carta canta: non avevano totalizzato il punteggio necessario per la graduatoria di ammissione; ed infatti i giudici, a quanto sono riuscito ad appurare, non hanno minimamente riesaminato le prove di esame ed i punteggi relativi. Nella sentenza si constata “de iure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione”. Tradotto in italiano vuol dire in sostanza che i ricorrenti sono risusciti a buttare tutto in caciara, e tutti i candidati che facciano ricorso possono essere ammessi; il Consiglio di Stato non ha infatti disposto la ripetizione della prova per gli iscritti di allora, ma ne ha annullato la validità. Bravi e somari, buoni e cattivi, tutti dentro. 

Ho già scritto su queste pagine che il test di ammissione a Medicina è cattivo ma necessario per due ragioni: in primo luogo rispetta normative europee che garantiscono la validità internazionale della nostra laurea; in secondo luogo commisura il numero degli studenti alla capienza della struttura. La sentenza di ieri dimostra che è possibile scardinare il sistema a colpi di sentenze: basta trovare una irregolarità formale cui appoggiarsi, che date le dimensioni del sistema (70.000 candidati in oltre 700 aule su una cinquantina di sedi) è altamente probabile. La sentenza dimostra anche che non è possibile far funzionare il sistema con lo stesso metodo: non dispone la ripetizione della prova e la selezione dei meritevoli, sfascia e basta. Per chi è interessato al buon funzionamento delle istituzioni scolastiche, il dubbio sulla validità di un esame impone l’accertamento in concreto della lesione dell’imparzialità in sede di correzione, che i giudici del Consiglio di Stato hanno ritenuto ininfluente; e per il paziente che si rivolge al medico è di cruciale importanza la fiducia nella buona preparazione del professionista, che non può essere sostituita dall’accertamento de iure dell’invalidità degli esami nei quali è stato bocciato.

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