Per riformare davvero il Paese ci vuole, prima di tutto, una chiara visione d’insieme che metta in luce una tabella di priorità da cui poi far discendere, in secondo tempo, altri provvedimenti che diano una fisionomia organica all’intero impianto. Cioè quello che sembra mancare al governo Renzi. Il riformismo messo il campo dal presidente del Consiglio, dopo oltre 150 giorni, sta mettendo in luce carenze sul disegno complessivo, appunto organico, capace di dare nuovo corpo al sistema. Renzi ha lo slancio, l’impeto, la volontà di cambiare tutto, ma il suo assillante timing al momento sta solo producendo una gran confusione che nelle Camere si trasforma in ingorgo e – di conseguenza – in blocco.

Come ogni anno, siamo al rush finale prima delle ferie estive ed è subito allarme conversione decreti. Quelli che ci sono, quelli che mancano, quelli che solo diventati “provvedimenti fantasma”. Qualche numero per dare un’idea della mole burocratica di cui il Parlamento dovrebbe farsi carico, a sentir Renzi, nel giro di pochissimo tempo: per rendere attuative le norme promesse dagli ultimi 3 governi (quindi Monti-Letta e anche Renzi) ci vorrebbero 874 provvedimenti (quelli di Letta e Monti sono 509). Con Renzi, dunque, la situazione è peggiorata. Lo dimostra, per dirne una, la vicenda del Jobs Act. Renzi ne presentò con grande urgenza le linee guida nei primissimi giorni dell’anno, quando non era ancora a Palazzo Chigi. Sono passati sei mesi e l’approdo in aula al Senato del ddl 1428, la delega sul lavoro appunto, è slittato a fine mese. E chissà.

Quello che, casomai, sconcerta, è che nonostante la macchina parlamentare arranchi, Renzi insiste nel fare nuove promesse e nel mettere nuova carne al fuoco. Per dire: aveva annunciato per il 31 luglio lo sblocca Italia e la riforma della giustizia organica a settembre. Per non parlare della riforma del Terzo settore, messa sul tavolo nell’ultimo consiglio dei ministri, ma su cui ancora non è dato sapere il contenuto reale. Cosa manca ora all’appello? Cosa le Camere dovranno approvare rapidamente, probabilmente con uso massiccio della fiducia, per mancanza di tempi tecnici e per evitare il rischio decadenza?

Pubblica amministrazione
Il decreto 90 (“Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 giugno e quindi scade il 24 agosto. Ora si trova ancora in commissione Affari Costituzionali della Camera in prima lettura, carico di 1500 emendamenti. Dovrebbe arrivare in Aula alla Camera il 22 luglio, ma slitterà ancora perché sempre il 22 luglio, a Montecitorio si vota il decreto carceri, in terza lettura. Non va meglio al disegno di legge sulla Pubblica amministrazione. Che dopo le alzate di sopracciglio di Giorgio Napolitano, è stato riapprovato nel consiglio dei ministri del 13 giugno e di cui, però, si parlerà nel dettaglio a settembre. Quest’ultimo contiene anche i fondi per l’editoria, che prima erano contenuti in un apposito decreto che è stato bocciato dal ministero dell’Economia. I contenuti economici del provvedimento sono stati quindi dirottati nel ddl del ministro Marianna Madia.

Competitività
L’iter è cominciato dal Senato, in commissione Industria. Solo la prossima settimana si comincia a votare gli emendamenti. E’ il decreto che contiene la contestata reintroduzione dell’anatocismo (che il viceministro Enrico Morando prima e la commissione Bilancio poi hanno smontato), ma anche una serie di rilievi che metterebbero a rischio “contenzioso perenne” la Pubblica amministrazione. Dunque, in pratica, senza chiarimenti da parte del governo, lo stallo è totale. E, comunque, siamo alla prima lettura.

Legge delega sul lavoro
E’ ancora in commissione lavoro del Senato, dove si litiga sull’articolo 4, quello che prevede il contratto a tutele crescenti. Deve ancora essere fissata una riunione con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti per sciogliere il nodo prima del voto in commissione. Però il governo vorrebbe portarlo a casa entro la fine di luglio, ma è più probabile che slitti tutto a settembre. Per l’esercizio delle cinque deleghe, il governo ha sei mesi di tempo.

Riforme istituzionali
Il nodo è il passaggio del ddl Boschi in prima lettura al Senato entro la fine del mese, ma è noto che sarà necessaria una doppia lettura a distanza di tre mesi e anche se la Camera dovesse dare via libera senza modifiche, l’approvazione definitiva non potrebbe avvenire prima di gennaio 2015. Da sottolineare che senza i due terzi dei voti in seconda lettura, ci sarà poi il referendum confermativo, che dovrà essere indetto dopo tre mesi dal voto. Poi, ci saranno altri 5 mesi per celebrarlo. Insomma, è ancora lunghissima.

Cultura e turismo
Incassato il via alla Camera il 9 luglio, ora è in commissione Cultura del Senato. Scade il 31 luglio. E’ a forte rischio decadenza, inevitabile la fiducia.

Delega fiscale
Il decreto sulle commissioni censuarie è in commissione Finanze della Camera da lunedì, ma ci sono una serie di problemi legati a rilievi che sono emersi nella scrittura del testo. Mentre quello sulla delega fiscale è nell’omologa commissione del Senato, dove sono in corso le audizioni di associazioni e ordini. Come legge delega, ci sono sei mesi di tempo. Il 31 luglio i primi pareri degli esperti.

Tutto questo, ovviamente, renderà complicato, se non impossibile, che un qualsivoglia disegno di legge parlamentare possa essere discusso in tempi brevi. Come già accaduto durante il mandato degli ultimi tre esecutivi, dunque, il Parlamento si trova, di fatto, ad essere organismo di pura ratifica di quanto stabilito come priorità dal governo. L’iniziativa parlamentare è dunque sepolta più che mai, ma dalle parti del patto del Nazareno si parla con insistenza anche di un’altra riforma da mettere in campo subito dopo il primo passaggio del ddl Boschi al Senato: il presidenzialismo. Come se, nei fatti, non fosse già qui…

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