La arrestano con l’accusa di aver sottratto tributi allo Stato, in quanto dirigente dei servizi finanziari del comune di Terlizzi, in provincia di Bari. Il comune le toglie funzioni e scrivania, ma poi ci ripensa. E nonostante l’indagine sia ancora in corso, fa qualcosa in più: la nomina a capo dell’ufficio legalità e a capo dei vigili urbani. Protagonista di questa storia surreale nella città natìa di Nichi Vendola, al centro di un’interrogazione parlamentare presentata da Sel al ministro dell’Interno Alfano, è Francesca Panzini, dirigente del settore servizi finanziari e risorse del comune del barese. La donna il 9 maggio 2013 sente bussare dai carabinieri che avevano in mano un’ordinanza di custodia cautelare spiccata nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica di Trani. Agli arresti con lei anche il presidente del consiglio di amministrazione della società Censum spa, Vito Redavid, società che gestiva, per conto del comune, l’accertamento e la riscossione di tutte le entrate tributarie delle amministrazioni pubbliche.

Secondo la Procura, i due sarebbero si sarebbero entrambi resi responsabili di tentata concussione, peculato e abuso d’ufficio nella gestione e riscossione dei tributi comunali del 2008, 2009 e 2010. Nell’indagine è infatti emerso che le somme di denaro dei tributi riscosse dalla Censum, venivano poi riversate al comune in notevole ritardo (in media 230 giorni con un picco di 512 giorni, al fine di far maturare gli interessi sul capitale distratto). Di più: le somme accumulate (per un importo complessivo pari a 2.283.517,00 euro, dall’aprile del 2010 al giugno del 2011) sarebbero state fatte transitare su un conto corrente intestato ad un società finanziaria riconducibile ai dirigenti della società Censum, permettendo, di fatto, la distrazione di denaro pubblico utilizzato per fini finanziari. Insomma, una vera e propria organizzazione a fini di lucro attraverso i soldi dei cittadini e delle loro tasse.

Dopo un mese dall’arresto, però, il 7 giugno 2013 il tribunale del riesame di Bari ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare ma non ha fatto venir meno l’impianto delle accuse; la Panzini, infatti, risulta ancora indagata dalla procura di Trani per i reati contestati nell’ordinanza di custodia cautelare. Ma per il comune, la sola scarcerazione è stata presa per un inequivocabile segnale di innocenza della dirigente. E così, in barba ad ogni cautela e prudenza, il 5 agosto 2013 la dirigente torna al suo posto, il comune le restituisce la scrivania nel settore servizi finanziari e risorse e le ridà anche il ruolo che ricopriva prima dell’arresto. Come se nulla fosse.

Eppure, sempre secondo l’indagine della Procura di Trani, la Panzini e il suo ‘socio’ Redavid si sarebbero appropriati, tra il 2011 e il 2012, dei versamenti dei tributi locali per un ammontare di circa 1.2 milioni di euro, senza mai versarli nelle casse comunali. Ma al sindaco, Nicola “Ninni” Gemmato, in carica dal 2012 dopo essere stato eletto con il 62% dei voti in una lista di centrodestra (i suoi esordi politici nel Fuan, poi in An) non ci vuole sentire. E difende la scelta: “A parte che i fatti dell’inchiesta si sarebbero svolti prima dell’inizio della mia amministrazione – ha detto in una recente intervista ad una tv locale – la dottoressa Panzini è stata scarcerata e il provvedimento di custodia cautelare è stato annullato” e per quanto riguarda la Censum “il rapporto con il Comune è terminato il 3 giugno 2013 ed ora – sono sempre parole del sindaco – è in corso un contenzioso con la società per cercare di riavere le somme riscosse ma non versate al Comune (1.115.000 euro, ndr)”.

L’inchiesta nasce dagli accertamenti della Guardia di Finanza avviati nel 2008 a seguito dei casi delle cosiddette «cartelle pazze», con cui venivano chiesti ai contribuenti di pagare tributi locali che in realtà erano stati già versati. Una funzionaria comunale del medesimo settore della Panzini, che si era accorta di alcune anomalie ed aveva informato la dirigente indagata, è stata allontanata dal servizio. Fondamentali ai fini dell’inchiesta sono state, poi, le intercettazioni telefoniche tra la dirigente e Redavid, intercettazioni che hanno coinvolto anche il sindaco (amico personale della Panzini) che, tuttavia, non è mai stato indagato.

Al netto dell’inchiesta, tuttavia, per il comune di Terlizzi non sarà facile riottenere le cifre sottratte. Come si legge dal verbale dell’udienza tenutasi il 18 dicembre 2013 presso il Tribunale di Bari e riportato a corredo dell’interrogazione parlamentare sul caso, la società «…versa in un grave stato di insolvenza…» e «…non esercita più da diversi mesi…» oltre al fatto che «…le è stata revocata dalla Banca d’Italia l’autorizzazione a prestare fidi e sono stati distratti rilevanti cespiti attivi in danno ai creditori…».

Non è finita. Se già tra i cittadini di Terlizzi aveva destato scandalo il ricollocamento della Panzini nelle sue funzioni precedenti l’arresto, lo stupore è stato grande quando, il 18 giugno scorso, con delibera di giunta n. 89, la dirigente del settore servizi finanziari e risorse del comune è stata nominata anche comandante della polizia municipale, nonché dirigente-assistente dell’assessorato alla Legalità. Insomma, ad indagine ancora aperta, la Panzini adempirà delicati compiti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, oltre a proseguire a dirigere il settore finanziario del Comune di Terlizzi. Una beffa? Affatto. Il Pd locale ha chiesto le dimissioni del sindaco, ovviamente senza ottenere alcuna risposta, mentre la protesta sta montando nella cittadina, soprattutto da parte di associazioni di consumatori che attendono, con fiducia, l’invio di ispettori da parte di Alfano.

 

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