Nella settimana dell‘approdo in aula del ‘Senato dei nominati di Renzi’ il calendario giudiziario dei suoi partner di riforme istituzionali è, a dir poco, vorticoso.

Last minute, agli appuntamenti calendarizzati da tempo che fanno tremare le vene e i polsi agli interessati, Silvio Berlusconi attende per venerdì la sentenza d’appello per il processo Ruby e Giancarlo Galan il voto sull’arresto slittato per “motivi di salute”, con inevitabili ricadute “sul cammino delle riforme”. A questi a si è aggiunta l’ indagine a Busto Arsizio per Roberto Maroni. L’avviso di garanzia si inscrive all’interno della mega-inchiesta sull’ Expo e si riferisce all’induzione indebita a dare o promettere utilità per  presunte irregolarità su contratti a termine

Qualcosa probabilmente di meno eclatante, qualora venissero accertate le  pressioni per contratti a due donne “di fiducia”, di quanto il procuratore generale di Milano ha contestato a Silvio Berlusconi riconfermando in toto la condanna di primo grado, come degli atti impressionanti a fondamento della richiesta di arresto per Galan nella fabbrica di corruzione del Mose. Ma quello che in questa manciata di giorni si sta squadernando sotto gli occhi di chi vuole vedere è che, al di là della retorica profusa dai protagonisti e dai cantori del “nuovo mondo” politico che si sarebbe affermato a furor di popolo con il voto europeo, l’ era Renzi non ha modificato di una virgola la qualità dei “riformatori” né le modalità e lo stile con cui realizzare riforme fondamentali.

Forse sarà anche per questo che Renzi, attento agli umori dell’opinione pubblica e alla portata “sinergica” nel discredito dei partiti di scandali stratosferici come Mose ed Expo dove il PD non è stato a guardare, dopo aver detto e ripetuto che “il treno delle riforme ormai è già partito” all’avvio della prima lettura per la riforma del Senato ha avuto, a parole,  una specie di pentimento-ravvedimento. 

Come se a ribadire in ogni occasione che il patto del Nazareno è solido e intangibile non fossero stati lui e il suo ministro per le riforme, Matteo Renzi all’ultimo minuto dei tempi supplementari cambia registro e si rivolge al M5S per fare professioni quasi incondizionate di apertura e di disponibilità. Sembra che l’irrisione per il democratellum ovvero grande fratello ostentata nello streaming di due settimane fa appartenga ad un’altra fase storica; e non c’è solo l’apertura sulla legge elettorale che manderebbe al macero il patto di ferro con Berlusconi.  

Ma c’è anche la dichiarazione di “grande interesse” e di totale apertura sul capitolo più che scivoloso dell’immunità dove finora il PD ha dato prova di grande faccia tosta nello scaricabarile sulla volontà coriacea di mantenere lo scudo anche per i senatori non eletti. Ora Renzi afferma che l’abolizione dell’immunità non è un tabù e anche per la presidente della commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro occorre un supplemento di riflessione. Insomma con l’avvio dell’iter parlamentare della madre di tutte le riforme e con i pasdaran berlusconiani ormai allo sbando che in vista della sentenza Ruby inneggiano al Berlusconi “innocente e legislatore”, Renzi fa la mossa del “ravvedimento operoso” con il M5S.

Con quale scopo? Se per creare un utile diversivo in una settimana molto caliente o per “rettificare” la road map delle riforme  sotto l’incalzare delle inchieste e il corso fisiologico dei processi si vedrà presto, ma intanto si può fare qualche previsione. 

 

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