Protagonista negli anni ’80 con uno dei gruppi più influenti della scena musicale inglese, secondo – per carisma e unicità – a pochi altri colleghi nel ruolo, Morrissey esce in queste ore con il nuovo World Peace Is None Of Your Business: decimo disco in studio dopo lo scioglimento degli Smiths avvenuto nel lontano 1987. Anticipato dall’omonimo singolo in rotazione nelle principali radio del mondo già da un paio di mesi, l’album rappresenta probabilmente il commiato dell’artista inglese, che non più tardi di due anni fa aveva dichiarato di sentirsi “troppo stanco” e vittima di una serie di acciacchi che in concomitanza con gli ultimi concerti americani lo hanno portato ad annullare, sempre alla sua maniera, più di qualche data tra quelle inizialmente previste.

Basterebbe solo mettere in fila questi ultimi avvenimenti per realizzare quanto “World Peace Is None Of Your Business” risulti non solo un disco contraddittorio ma stanco, quasi ‘dovuto’: nella genesi così come nella sua proposizione finale. Le attese non propriamente spettacolari (comunque buone) dell’opener vengono progressivamente smentite nel contesto di un album non banale (sia mai) ma comunque noioso: non un guizzo, raramente una perla. “Neal Cassidy Drops Dead”, seconda traccia, si regge sullo spezzato chitarristico di Jess Tobias e Boz Boorer – che da anni collaborano con Morrissey – ma manca della profondità e del contenuto anche dell’ultima delle b-side dell’ex Smiths, che con “Don’t Make Fun Of Daddy’s Voice” e “Good Looking Man About Town”– tanto per fare due esempi – c’aveva abituato a ben altro.

“I’m Not A Man”, primo tra i momenti riflessivi, si lascia ascoltare già di più senza però strappare applausi a scena aperta: il brano raccoglie in sé tutti gli assi nella manica tipici del buon Steven Patrick (classe, incontestabilità degli arrangiamenti, intensità vocale da manuale) ma rimanda al discorso di cui sopra: un temino sciapo ma ben scritto, tanta forma e poca sostanza. Con “Instanbul” siamo quasi a metà del guado e, per la prima volta, non viene da alzarsi l’orlo dei pantaloni per la paura di sporcarsi: bella, a tratti commovente, quasi ingombrante dato il clima più generale di questi primi (neanche troppo) minuti. Il pathos di “Earth Is The Loneliest Planet” (ultimo singolo in ordine di tempo), dal sapore vagamente salsereccio, segna un altro evidente momento di rottura: tanto che il dubbio che assale l’ascoltare (me, nello specifico) è che le carte migliori Morrissey le abbia giocate, per non dire bruciate, quasi in sede di anteprima, spostando clamorosamente indietro il fine-vita di quest’ultima uscita discografica. E’ così che l’allegria cazzona della sesta “Staircase At The University” lascia conseguentemente indifferenti, rimandando alla successiva “The Bullfighter Dies” la responsabilità di chiudere, anche qui senza alcun sussulto, questa breve parentesi spensierata: idem con patate per l’easy listening di “Kiss Me A Lot”, che acquisterebbe dignità solo per la somiglianza con la più nota e valida “Some Girls Are Bigger Than Others” ma toccherebbe qui risalire addirittura al repertorio degli Smiths. Tutta un’altra storia.

“Smiler With Knife” prepara l’addio, rimandando di poco la pressione del tasto “eject” con un altro lentone d’annata che finirà probabilmente dimenticato nel calderone dei tanti, troppi bei brani di simil costituzione scritti dall’istrionico performer originario di Manchester. “Kick The Bride Down The Aisle”, nona in ordine di tracklist, è forse l’ultimo grido disperato e sincero di Morrissey, che in compagnia di un hammond e una chitarra acustica tira fuori da sé il meglio che rimane con un pezzo dalle tonalità cupe e tristi, come fosse una resa dignitosa: il capolinea artistico di chi ha detto tanto e rigetta quindi ogni ipotesi di naftalina. Nell’impossibilità di lasciarsi rapire da “Mountjoy”, il disco chiude con “Oboe Concerto”, giusto in tempo per confermare i dubbi generati da questi 56 minuti di musica volata molto bassa, in un pomeriggio di Luglio in cui più che un caffè ciò che occorre è un tè verde, tanto per accelerare il battito cardiaco e stimolare le capacità cognitive di chi, come me, c’ha messo tutto l’impegno del mondo senza capirci granchè. Diciamo pure nulla.

Per concludere: “World Peace Is None Of Your Business” è un album lontano dai migliori standard di Morrissey, cui per grandezza, storia ed eleganza è difficile imputare più di tanto. Un ascolto dovuto quanto faticoso, canto del cigno di una delle voci più belle e incisive dei nostri tempi, sintomo (o forse conseguenza) di aspettative giustamente molto alte e che, come poi è stato, era più facile deludere che confermare.  

Articolo Precedente

Musica, un anno dopo “One breath” Anna Calvi torna con un EP di cover

next
Articolo Successivo

Morrissey, “World Peace Is None Of Your Business” il nuovo disco da solista

next