E’ da poco stata nominata la Commissione di Vigilanza sul Ciclo dei Rifiuti una commissione di inchiesta che dovrà continuare il lavoro di messa a punto delle numerose vicende malavitose nate attorno allo smaltimento dei rifiuti in Italia. L’augurio è che diventi una commissione strategicamente fondamentale per il paese, vista la carenza storica del nostro paese in questo campo. Iniziative ormai quasi superate nei paesi del Nord Europa, sono ancor oggi un futuro lontano per molte aree del paese. Inoltre esistono forti disparità tra diverse regioni (lungo l’asse storica Nord-Sud, ma non solo) e a volte perfino dentro le stesse città, tra quartiere e quartiere. Sono disparità che nascono dal non aver mai affrontato la questione in maniera strutturale, che creano a loro volte zone d’ombra in cui si è inserita la criminalità organizzata, traendone profitti enormi a scapito della salute umana e dell’ambiente.

Sono molte le mancanze che, negli anni passati, hanno caratterizzato le amministrazioni e la classe politica di ogni livello, mancanze che necessitano ora di politiche serie su questo tema al fine di evitare futuri disastri paragonabili alla “Terra dei fuochi” o altri, ma è soprattutto nel quotidiano e nelle piccole cose che si può veramente cambiare. Con due vantaggi: il primo di vivere tutti quanti in un ambiente più salubre e pulito, il secondo di avere un’economia più efficiente.

E’ tempo, e alcuni territori italiani l’hanno già fatto, di ripensare l’idea di rifiuto che si è sedimentata nel tempo. Possono sembrare parole al vento, ma ogni seria riflessione sul ciclo dei rifiuti deve ripartire da come concepiamo il rifiuto. E’ il principio che lega assieme le politiche dell’agenda europea per il 2020 che parla esplicitamente di “economia circolare”. Nel termine “rifiuto” è inteso il significato di scarto, ma la maggior parte delle cose che “buttiamo via” sono oggetti ancora perfettamente funzionanti o utilizzabili perlomeno in alcune componenti. L’esempio più classico è la bottiglia di vetro, potenzialmente riutilizzabile all’infinito e invece continuamente buttata, rotta, polverizzata e destinata ad altri utilizzi. Ciò non ha senso e provoca una dispersione di risorse impressionante. Lo stesso discorso vale per la plastica e altri materiali che, pur essendo riciclabili, perdono gran parte del loro valore nella fase di riciclaggio stessa. Dal concetto di riciclaggio quindi, al concetto di riutilizzo, almeno in una fase successiva all’utilizzo primario, fintanto che il prodotto non necessiti di un effettivo ciclo per essere rimesso sul mercato.

Lette concretamente, queste parole vogliono semplicemente dire “vuoto a rendere” o “detersivi alla spina” o ancora “frutta e verdura in sacchetti di carta, anziché confezionate”, iniziative ancora rivoluzionarie per il nostro paese, ma pratiche consolidate in larga parte del mondo occidentale e che oggi l’Unione Europea chiede ai paesi membri di far diventare la prassi. Possono sembrare piccole questioni secondarie, ma si traducono invece in un’economia più efficiente che liberi risorse preziose capaci di trasmigrare da un settore all’altro, da un consumatore all’altro, in meno camion sulle nostre strade, in meno rifiuti nelle nostre discariche.

Non solo quindi dai grandi temi riparte la politica sui rifiuti italiana, ma anche nelle piccole azioni del quotidiano, su cui misurare la nostra voglia di cambiare il paese, pezzo per pezzo e insieme.

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