Nel 2013 l’Inps ha registrato un saldo negativo, cioè un rosso, di 9,9 miliardi, dovuto “in larga parte” alla fusione con l’Inpdap, l’ex istituto di previdenza per i dipendenti pubblici.Il dato è stato messo nero su bianco in occasione della la relazione annuale dell’ente presentata dal commissario “pro tempore” Vittorio Conti alla Camera. Nel quale si sottolinea però che il patrimonio netto dell’istituto pensionistico nazionale è invece pari a 7,5 miliardi (dato di preconsuntivo), valore che migliorerebbe tenendo conto della legge di stabilità. In base a questo assunto, quindi, secondo il relatore non è a rischio la ”sostenibilità del sistema pensionistico”. Affermazione che non cancella il fatto che la spesa complessiva lorda dell’istituto lo scorso anno è aumentata da 261,5 a 266,9 miliardi, con un incremento del 2,1% rispetto al 2012: le pensioni liquidate sono state 1,1 milioni, per il 54% sono prestazioni previdenziali (596.675) mentre il restante 46% sono costituite da prestazioni assistenziali (514.142). E così il rapporto tra la spesa pensionistica e il Pil, che partiva dal 14% circa prima della crisi, è attualmente al 16,3%, ma secondo Conti “sarebbe arrivato oltre il 18% senza le recenti riforme, grazie alle quali si arriverà al 13,9 nel 2060”. Intanto a vale della catena c’è quasi la metà dei pensionati italiani che si ferma sotto la soglia dei mille euro al mese. Ma uno su quattro riceve più di un trattamento e il 4,3% arriva a percepire oltre 3mila euro mensili. Fermo restano che gli assegni sono in media più leggeri per le donne. E questo mentre la riforma Fornero ha fatto calare le nuove pensioni liquidate: -32% per quelle di anzianità e anticipate, -57% per i trattamenti di vecchiaia. 

Quasi uno su due prende meno di mille euro, il 4,3% oltre 3 mila – Nel 2013 il 43% dei pensionati, pari a 6,8 milioni di persone, ha ricevuto uno o più assegni per un importo totale medio mensile inferiore a 1.000 euro lordi. Il 13,4%, pari a 2,1 milioni, si situa addirittura al di sotto dei 500 euro. Invece 676.406 soggetti, pari al 4,3% del totale dei pensionati Inps, riscuotono pensioni di importo medio mensile superiore a 3mila euro lordi assorbendo il 14,4% del totale della spesa. La quota di chi ottiene pensioni comprese tra 1.000 e 1.500 euro è del 26% circa (4,1 milioni), mentre un ulteriore 15% di beneficiari (circa 2,4 milioni di persone) percepisce redditi compresi tra 1.500 e 2mila euro mensili, pari al 20% della spesa totale. Al di sopra dei 2mila euro lordi si colloca il restante 16% circa dei titolari (poco meno di 2,5 milioni) cui va il 35,4% della spesa lorda complessiva. Il 73% dei pensionati Inps percepisce una sola pensione, mentre “il restante 27% cumula due o più”. Le pensioni per le donne risultano ancora più leggere di quasi un terzo: 1.081 euro contro un reddito pensionistico medio di 1.297 euro lordi. Rispetto agli uomini, che prendono mediamente 1.547 euro, si tratta del 30% in meno. Le donne, si legge nel rapporto, pur rappresentando il 54% del totale dei beneficiari di redditi da pensione ricevono una quota di reddito pensionistico pari al 45% a causa del minor importo dei trattamenti percepiti.

Crollo delle nuove pensioni dopo la riforma Fornero – Lo scorso anno sono crollate le nuove pensioni liquidate, anche a seguito della stretta prevista dalla riforma Fornero. Le nuove liquidazioni mostrano per i dipendenti privati un calo del 32% per le pensioni di anzianità e anticipate e del 57% per la vecchiaia. Ciò a causa “dell’elevazione del requisito di anzianità contributiva” e “dell’innalzamento dell’età pensionabile”, spiega l’Inps. I titolari delle nuove pensioni di anzianità e anticipate hanno un’età media di 59,3 anni e un’anzianità contributiva di 39,7 anni. Per le nuove pensioni di vecchiaia l’età media dei titolari alla decorrenza è di 63,8 anni con un’anzianità contributiva pari in media a 25,1 anni. Quanto ai lavoratori autonomi si registrano, al contrario, incrementi del 23,7% e del 12,1% rispettivamente per pensioni di anzianità e anticipate e per quelle di vecchiaia “dovuti a un effetto di trascinamento della disciplina antecedente la riforma Monti-Fornero”. In ogni caso, l’effetto dell’ultima riforma è mitigato dai pensionamenti in deroga del 2013, “incluse le uscite in favore delle diverse categorie di lavoratori esodati di volta in volta individuate”.

Anche per i dipendenti pubblici le pensioni di anzianità/anticipate e quelle di vecchiaia subiscono un tracollo del 50% a confronto con il 2012 “in virtù dell’innalzamento dei requisiti di accesso”. Infatti “l’età media di ingresso al pensionamento di anzianità/anticipata è di 61 anni, con un’anzianità contributiva pari in media a 39,6 anni, mentre per le nuove pensioni di vecchiaia l’età media dei titolari alla decorrenza è di 65 anni con un’anzianità contributiva media pari a 32,4 anni”.

L’Inps inoltre spiega come i trattamenti liquidati nel corso del 2013 della Gestione privata sono 505.142 e rappresentano circa l’85% delle nuove erogazioni previdenziali (in tutto 596.675), mentre nel pubblico le pensioni liquidate nel corso del 2013 sono 89.290 , ovvero il 15% del totale delle nuove erogazioni previdenziali. A ciò si aggiungono 2.243 nuove liquidazioni per i lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionisti, ex Enpals (lo 0,4% del totale).

Articolo Precedente

Fondi europei, “In Italia 7 miliardi di euro finiti nel nulla”. Ecco il report completo

next
Articolo Successivo

Flessibilità, Padoan a Bruxelles ottiene solo quella che nel Patto c’è già

next