Dove non è arrivata la crisi, ci ha pensato l’austerity a dare la mazzate finale. Tanto che oggi il rischio è di dover parlare di “catastrofe globale”. E’ questo il risultato dell’analisi del report ‘Dopo la crisi, la crisi – rapporto sui diritti globali 2014’, curato dall’Associazione Società Informazione Onlus e dalla Cgil, in collaborazione con diverse organizzazioni del Terzo settore. Consumi, lavoro, welfare, diritto alla casa. Secondo gli autori del dossier, tutti gli indicatori economici e sociali rivelano un “quadro drammatico e univoco”. In Europa, dove dal crollo di Wall Street del 2008 hanno perso il posto in azienda 10 milioni di persone, portando il numero di disoccupati a 27 milioni. E anche in Italia, dove coloro che vivono in condizioni povertà assoluta sono raddoppiati dal 2007 al 2012, passando da 2,4 milioni a 4,8 milioni, l’8% della popolazione.

Nel nostro Paese, poi, muoiono in continuazione le piccole imprese (dal 2008 ne sono state chiuse 134mila). E muoiono le persone: l’anno scorso si sono tolti la vita per le difficoltà economiche in 149. L’uscita dalla crisi, insomma, è ancora lontana. E qui il rapporto punta il dito contro un imputato ben preciso: la Troika, ovvero la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale e la Commissione europea. La loro colpa? “Avere portato allo stremo i lavoratori e i ceti medi nei paesi destinatari dei programmi di assistenza finanziaria, Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Romania”. Ma non solo. Perché ancora prima che il fiscal compact diventi effettivo con il suo seguito di tagli, l’austerity imposta dall’Europa ha già colpito anche l’Italia. E ha colpito duro, secondo i dati riportati nelle pagine del report. Intanto la crescita rimane fragile: nel 2015 i dati ufficiali prevedono un aumento del Pil superiore all’1%, ma “potrebbe essere molto vicina allo zero”. E i provvedimenti annunciati da Matteo Renzi non sembrano per nulla risolutivi.

Lavoro, questo sconosciuto
Il mondo del lavoro non si rialza. Il tasso di occupazione fra i 20 e i 64 anni nel 2013 è stato del 59,8%, quando nel 2008 era al 63%. Peggio di noi, nell’Unione europea, stanno solo i greci (53,2%), i croati (53,9%) e gli spagnoli (58,2%). Dall’inizio della crisi hanno perso il posto oltre 980mila persone. La disoccupazione all’inizio di quest’anno ha registrato un tasso intorno al 13%. Va male soprattutto per i giovani tra i 15 e i 24 anni, con una percentuale che ha raggiunto all’inizio di quest’anno il 42,4%. Aumentano i disoccupati. E aumenta la durata della disoccupazione: le persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi, rispetto al 2008, sono aumentate di 675mila unità e la durata media della ricerca di un posto nel 2012 ha raggiunto i 21 mesi. Altra piaga, quella del precariato. Che la riforma Fornero ha pure contribuito ad aggravare, con forti perdite occupazionali registrate sia tra i contratti a progetto che tra le partite Iva. Ma anche chi un lavoro certo ce l’ha, non può dormire sonni tranquilli, visto che gli stipendi sono assai magri. A un anno dalla laurea, per esempio, il netto mensile è di circa mille euro, con una diminuzione in termini reali che nel quinquennio 2008-2013 è stata di circa il 20%.

Consumi, casa e welfare: la fatica di campare
Il potere d’acquisto delle famiglie, che secondo i dati Istat nel 2012 era già diminuito rispetto all’anno precedente del 4,8%, nel 2013 ha registrato un altro -1,1%. Così la crisi vuol dire anche non riuscire ad arrivare a fine mese. Nel 2012 l’11,1% degli italiani ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria di cui aveva bisogno, mentre il 22% delle famiglie ha dichiarato di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione, il 17,5% di non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni e l’11% è rimasto in arretrato con almeno un pagamento tra mutuo, affitto, bollette o altri debiti. La casa finisce poi per essere un diritto sempre meno scontato. Nel primo semestre del 2013 sono state presentate quasi 39mila domande di sfratto, è stata richiesta l’esecuzione di oltre 75mila sfratti e ne sono diventati esecutivi più di 16mila. La causa principale? La morosità. Del resto, le tasche degli italiani hanno subito un duro colpo negli ultimi anni. Secondo la Banca d’Italia, tra il 2010 e il 2012, il reddito familiare medio è sceso in termini nominali del 7,3%, quello equivalente del 6%. Un quinto delle famiglie ha un reddito netto annuale inferiore a 14.457 euro, circa 1.200 euro al mese, mentre crescono le diseguaglianze: il 10% dei nuclei che guadagnano di meno percepisce il 2,4% del totale dei redditi, laddove il 10% delle famiglie con maggiori entrate percepisce il 26,3% del totale. Una situazione a cui il welfare non pone rimedio. Anzi, i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno avuto in comune soprattutto una politica che ai tagli ha sommato nuovi tagli. Basti solo qualche esempio: il Fondo nazionale politiche sociali è passato da 670 milioni di euro nel 2008 a 300 milioni nel 2013, il Fondo politiche per la famiglia da 197 milioni a zero, azzerato anche il Fondo pari opportunità (era di 64 milioni nel 2008).

E Renzi? Riforme di stampo autoritario e più precarietà
Intanto dall’Europa l’imperativo è sempre lo stesso: portare a termine le riforme strutturali, ovvero la riforma costituzionale e quella elettorale. Obiettivi che Renzi sta declinando a suo modo. “La prima – si legge nel rapporto – ridisegna l’architettura costituzionale in segno neo-autoriatario, abolendo il Senato come carica elettiva e concentrando il potere nell’esecutivo senza contrappesi costituzionali”. La seconda attribuisce al partito vincente “un super-bonus elettorale che raddoppia i seggi e cancella milioni di voti”. E il bonus Irpef da 80 euro mensili in busta paga? Nel rapporto viene definito “una misura poco più che simbolica”, perché finanziato in gran parte con la tassazione dei risparmi e con gli aumenti delle tasse a cui dovranno ricorrere gli enti locali per controbilanciare i tagli chiesti dal governo, “una serie di misure paradossali che andranno a colpire proprio quel soggetto sociale (il ceto medio povero o impoverito) che si vorrebbe invitare a spendere una sera in più in pizzeria”. Duro anche il giudizio sulla riforma del lavoro portata avanti dal ministro Giuliano Poletti. Con l’abolizione dell’obbligo di indicare la causale nei contratti a termine, il Jobs act porterà al risultato di “precarizzare tutto il precarizzabile, nell’illusione (già smentita dalle stime contenute nel Def di aprile 2014) che la disoccupazione scenda sotto la doppia cifra”.

Twitter: @gigi_gno

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