Non è certo nulla di paragonabile alle entrate degli anni d’oro, ma è senz’altro un’estate di attività intensa per le banche in Italia. Con la ripresa dei collocamenti in Borsa e l’avvio delle privatizzazioni, seppure meno ricche del previsto, gli incassi per le commissioni degli istituti di credito si moltiplicano. Con somma gioia soprattutto dei più grandi istituti italiani, Intesa e Unicredit, in prima fila per le operazioni più importanti. Per lo sbarco in Borsa dell’azienda pubblica Fincantieri, per esempio, le banche Imi, Jp Morgan, Morgan Stanley e Unicredit hanno intascato una commissione da 7,5 milioni di euro. La società pubblica controllata da Fintecna ha infatti indicato nel prospetto che, oltre ai 13 milioni di spese di quotazione, ha pagato agli istituti di credito che hanno tirato le fila dell’operazione il 2,1% del controvalore (350 milioni contro i 538-639 sperati) dei titoli collocati.

Fincantieri è stata però solo la prima matricola “pubblica” ad arrivare a Piazza Affari. A stretto giro dovrebbero infatti sbarcare in Borsa altri “gioielli di Stato” come la compagnia assicurativa Sace, il controllore dei voli Enav e, forse, le Poste Italiane. Se, per ipotesi, oltre a Fincantieri, anche le altre tre matricole decidessero di fissare la percentuale delle commissioni bancarie al 2,1% degli introiti, allora le banche riuscirebbero ad intascare complessivamente una cifra di poco inferiore ai 170 milioni. Con le Poste in cima alla lista delle commissioni più sostanziose (attorno agli 80 milioni), anche se il nuovo amministratore delegato Francesco Caio ha già fatto sapere che la strada della quotazione sarà prima ben ponderata. Solo proiezioni, quindi, naturalmente. Legate peraltro a doppio filo alle valorizzazioni finali delle quotande. Ma indizi utili a comprendere la grande attesa bancaria per le privatizzazioni e l’annesso portafoglio di commissioni che saranno spartite fra gli istituti di credito di volta in volta coinvolti nelle operazioni di collocamento.

Intanto, aspettando l’avvio delle vendite di Stato, le banche si consolano con le matricole private di Piazza Affari come Cerved e Fineco. Anche in questi casi le commissioni sono di assoluto rilievo (14,33 milioni con 4,6 di spese di quotazione per la prima, mentre per la banca online di Unicredit sono 20 milioni di onorari più 5 milioni di costi per l’Ipo). “Nice”, direbbe forse il finanziere Davide Serra, fondatore del fondo Algebris e uomo vicino al premier Matteo Renzi. Che così aveva commentato, su Twitter, il 5% di commissioni intascato dagli istituti di credito (UBS, Citigroup, Goldman Sachs, Mediobanca, Barclays Bank, Merrill Lynch International, Commerzbank, J.P. Morgan Securities, Morgan Stanley e Société Générale) garanti del collocamento per l’aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena. Su 5 miliardi di ricapitalizzazione, ben 260 milioni sono finiti dritti dritti nei caveau delle banche. Ma questa è un’altra storia perché parla di aumenti di capitale e di rischi. Non certo di monetizzazione di aziende ufficialmente sane che vanno in Borsa.

MORTE DEI PASCHI

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