Questo è un pezzo politicamente scorretto, perché dice cose che nessuno o quasi vuol dire, ma che molti pensano. Nella prima parte, abbiamo analizzato le cause dei flussi migratori, incontrollati che si dirigono verso le nostre coste. Ora analizziamo i diversi modi di affrontare questo problema.

Come è stato sottolineato, con una definizione più burocratica che di contenuto, molti dei migranti non sono rifugiati politici nel senso stretto, ma rifugiati “economici”; essi continueranno a cercare di venire in Europa e nessun governo, di nessun colore potrà arrestare questa moltitudine di persone che, rischiando la pelle, e pagando notevoli somme, cerca per sé e per i propri cari un destino migliore. E chi non farebbe la stessa cosa, trovandosi nella medesima situazione? Ma forse chi ritiene che la cosa più giusta da fare sia accoglierli, farebbe bene a pensare quali speranze e prospettive avranno gli immigrati che arrivano clandestinamente nel nostro paese.

Fare lavori in nero, mendicare per le strade, rubare per sfamarsi? Competere in lavori sottopagati con italiani sottopagati?

La politica dell’accoglienza è veramente la strada giusta, soprattutto in un periodo di crisi? O è forse solo una pia illusione di sognatori senza nessun fondamento concreto? In Africa ci sono circa 500 milioni di persone che sono in situazioni di difficoltà o per guerre o per carenze alimentari; potremo realisticamente accoglierli tutti?

Non sarà forse meglio sviluppare politiche europee di cooperazione seria e non finalizzata a produrre profitti per le nostre imprese o per dittatori corrotti?

Gli Stati Uniti hanno cercato di arginare un analogo fenomeno, costruendo un muro che avrebbe dovuto correre per 3.000 chilometri lungo la frontiera col Messico; nonostante i controlli sempre più serrati, quasi più di mezzo milione di sudamericani, ogni anno, riesce ad immigrare clandestinamente negli Stati Uniti. In Australia si è scelto di delocalizzare i centri di detenzione; uno si trova sull’isola-stato di Nauru; l’altro è in Papua Nuova Guinea e un altro ancora nella sperduta isola di Natale, dal nome beffardo per la solidarietà. Qui vengono rinchiuse a tempo indeterminato le persone che arrivano sulle coste australiane via mare senza il visto necessario. I richiedenti asilo, pur senza aver commesso reati, si ritrovano per anni in carcere, senza la possibilità di ricevere visite, in attesa di sapere se hanno diritto ad ottenere rifugio in Australia o se devono tornare da dove sono venuti. Comunque, il risultato è che dai 4.500 del 2011 si è passati ai 17mila del 2012 e nei primi sei mesi del 2013, sono arrivate via mare oltre 15mila persone.

E pensare che i veri e primi clandestini, in Australia come nelle Americhe, furono gli inglesi e gli europei che invasero, distrussero sfruttarono e saccheggiarono i popoli nativi. Del resto facile dire che Australia, Canada e in parte gli Usa, offrono opportunità ai nostri nuovi emigranti magari con laurea e dottorato di ricerca; pur sotto pressione di ondate migratorie hanno a loro vantaggio la geografia che pone da freno e una vastità di territorio, ricco di risorse, ben più grande di noi in cui la popolazione è, vedi Canada e Australia, addirittura inferiore alla nostra. Opportunità o egoismo dunque? E se gli indios e indigeni avessero potuto contingentare gli arrivi?

Come affrontare il problema? Non è facile, non è questione solo di regolamentare gli accessi, chi non riesce e si trova ad affrontare guerre, epidemie, povertà ci proverà sempre o per lo meno fino a che certi problemi, latenti, non esplodono anche nei nostri paesi per ora ricchi.
Un noto film, The Day After tomorrow, nel finale con il clima che, impazzito, mette in ginocchio gli Usa mostra ondate di profughi climatici americani scappare verso il Messico. Quello che si sposta dai paesi poveri a quelli confinanti più ricchi è un fiume in piena che solo una miglior distribuzione della ricchezza riuscirà ad arginare. E, alluvione insegna, un argine protegge dalle acque di un fiume in piena, ma quando l’argine si rompe, il fiume paradossalmente diventa ancora più pericoloso.

Comunque, se proprio si vuole insistere con l’inutile buonismo di Mare Nostrum, nell’attesa di trovare un giusta ed equa soluzione che non sia il razzismo di chi li vorrebbe ributtare a mare e il buonismo di accorglierli tutti, e tanto vale istituire, per i clandestini, regolari linee di traghetti tra l’Africa e l’ Italia; così si metterebbe almeno fine allo sporco traffico di esseri umani. 

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