Basta girare qualche bar. Basta una chiacchiera, anche distratta, al mercato per arrivare a una clamorosa (dolorosa?) verità: da quando quei pipponi storici di Prandelli sono usciti dalla competizione con somma vergogna, gli italiani sono impazziti per il Mondiale. Tutte le sere si piazzano davanti alla televisione e si rendono conto che la fatica, la passione, la lotta sino all’ultima stilla di sudore, il divertimento aperto, il valore della maglia, l’orgoglio di una nazione, sono elementi di uno spettacolo fantastico. Tutto ciò che non era prima, adesso è. In buona sostanza, grazie al Mondiale, gli italiani schifano se stessi, si riconoscono come inutili nel consesso mondiale e non ha importanza se qui si tratta “solo” di calcio, anzi, come spesso accade, lo sport è il paradigma della vita, ne mette in luce gli aspetti più profondi, sottolinea il valore dei popoli, mette rigorosamente in riga gli «assistiti» della Storia, i succhiaruote della società, i parassiti della politica. Cioè, noi.

Questa è la fantastica sentenza di un Mondiale entusiasmante oltre i suoi valori tecnici, che in questa edizione non sono forse stratosferici, ma che lo diventano attraverso valori paralleli come l’epica dello scontro sportivo testimonia. È come vedere ogni sera, impietosamente proiettato sullo schermo, il film del nostro fallimento, arrivando persino a una divaricazione mentale, a una dissociazione di sé, che a un certo punto della partita in corso ci fa gridare in famiglia: «’fanculo gli italiani, ma guarda questi come corrono, guarda come lottano, guarda come giocano!!” Non so davvero se riusciremo a far tesoro di questa esperienza sensoriale, che porta la nostra anima in un altrove fantastico e irraggiungibile per le nostre povere forze. Perché in parallelo, mentre l’Africa e l’Europa si combattono – viso aperto – a colpi di orgoglio sportivo, nel micragnoso paesello italico già si lavora per la Conservazione, perché i mesozoici federali che hanno succhiato tutta la dignità possibile alle istituzioni stanno brigando per imporci l’eternità delle loro storie povere e meschine. E che lo Stato, nel senso pieno e nobile delle istituzioni, non sia in grado di abbattere questo monumento osceno che è la Federazione Gioco Calcio, da secoli preda dei soliti famelici dirigenti, per restituirla a un decoro e una dignità nuova, beh, questa è la dimostrazione che la lotta alla burocrazia è persa in partenza (E vogliamo parlare di questo Malagò, neo presidente del Coni, che non riesce a balbettare neppure un concetto, una mezza parola, e si trincera dietro le famose “autonomie” delle singole federazioni?).

Ma sia chiara una cosa. Debbono essere spazzati via dalla storia tutti i vecchi dirigenti (alla Tavecchio e soci per capirci), ma è impossibile, direi addirittura insultante, che la linea ce la possa imporre Fabio Caressa, attraverso Sky, con la sua finta indignazione quotidiana, con i suoi patetici appelli a un “nuovismo” etico di facciata, che per quanto lo riguarda lo hanno portato per tutto il campionato ad avere un atteggiamento pericolosamente diffidente e sospettoso quando si trattava di applicare le norme anti razzismo (per cui chiudere giustamente e solennemente le curve), solo perché in questo modo si sarebbe depauperato il calcio, il suo spettacolo, la voglia della gente di andare allo stadio (e magari di guardare Sky). Meno pipponi in campo, ma anche meno pipponi etici, per favore.

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