Restano ancora ombre sulla morte in carcere di Marcello Lonzi, il 29enne deceduto l’11 luglio 2003 all’interno del carcere “Le Sughere” di Livorno. Le cause del decesso? Secondo le inchieste del 2004 e del 2010 (entrambe archiviate) si è trattato di morte per cause naturali, nello specifico di infarto: la madre Maria Ciuffi sostiene invece che il figlio sia stato vittima di un pestaggio e ha cercato di dimostrarlo anche diffondendo sul web le foto shock della salma. Adesso il gip Beatrice Dani, respingendo la richiesta di archiviazione avanzata lo scorso marzo dal pm Antonio Di Bugno, ha disposto nuove indagini (sei mesi di tempo) per capire se ci siano state imperizie durante le operazioni di soccorso. “Una buona notizia finalmente” dichiara Ciuffi (la donna è rappresentata dall’avvocato Erminia Donnarumma). Era stata proprio lei il 3 maggio 2013 a presentare un esposto ai carabinieri di Pisa per far luce sulle operazioni di soccorso e sull’esame autoptico.

In particolare nel mirino è finito il lavoro del medico legale Alessandro Bassi Luciani (uno dei collaboratori più longevi della magistratura livornese) che effettuò l’autopsia e i due medici della casa circondariale Gaspare Orlando e Enrico Martellini. Ciuffi – ricorda il gip nel provvedimento depositato – ipotizza che la morte del figlio possa essere stata determinata “anche dalle errate, imperite o addirittura omesse manovre di soccorso e rianimazione” messe in atto dai due medici “il cui operato sarebbe poi stato coperto dal parziale accertamento del professor Luciani in sede autoptica”. A tal proposito si parla infatti di “innumerevoli omissioni” che avrebbero reso “estremamente difficile o impedito la ricerca della verità”. L’ipotesi di reato sarebbe insomma quella di concorso in omicidio colposo. I due medici vengono inoltre accusati di “falso e di false informazioni al pm“. Secondo Ciuffi infatti le manovre rianimatorie “o non sono mai avvenute o si sono svolte in via totalmente approssimativa”. Stesso concetto per quanto riguarda l’utilizzo del defibrillatore. Da chiarire inoltre l’esatta ora del decesso: “E’ avvenuto alle 17.10 e non alle 19.50”. Secondo il parere del professor Alberto Bellocco (specialista in medicina legale all’università Sacro Cuore di Roma) allegato all’atto di opposizione alla nuova richiesta di archiviazione, la morte di Lonzi sarebbe imputabile “alle conseguenze di un politraumatismo al quale ha fatto seguito vomito alimentare e un conseguente distress cardiocircolatorio”. Su tutte queste questioni dovranno adesso cercare di far luce i consulenti del pm Francesco De Ferrari (Università di Brescia) e Florinda Monciotti (Università di Siena).

Lonzi, entrato alle “Sughere” il 1 marzo 2003, avrebbe dovuto scontare 9 mesi di carcere per tentato furto. Quattro mesi dopo è stato trovato morto in cella. Morto per “cause naturali”. Una spiegazione che però non ha mai convinto la madre. La salma presentava infatti la mandibola fratturata, due buchi in testa, il polso sinistro fratturato, due denti spaccati, otto costole rotte e varie escoriazioni: “Altro che infarto, c’è stato un pestaggio”. La “battaglia” di Ciuffi nelle aule giudiziarie ha perciò inizio. Il procedimento aperto a carico di ignoti si chiude nel 2004: il gup Rinaldo Merani accoglie la richiesta d’archiviazione avanzata dal pm Robero Pennisi. Nel 2006 “madre coraggio” – così come la chiamano le amiche – ottiene la riesumazione della salma e la riapertura dell’inchiesta.

Nel 2010 il procedimento aperto nei confronti del compagno di stanza di Lonzi, Gabriele Ghelardini, e dei due agenti di polizia penitenziaria Alfonso Scuotto e Nicola Giudice si chiude però con l’accoglimento da parte del gip Merani della richiesta di archiviazione avanzata dal pm Antonio Giaconi. Secondo le perizie sul corpo del 29enne non sarebbero rinvenibili segni di percosse. La donna non si arrende e continua la propria battaglia. Nel 2011 la Cassazione negherà la riapertura del processo mentre l’anno successivo sarà la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo a dichiarare “irricevibile” il ricorso. La madre di Lonzi non si dà ancora per vinta e nei mesi scorsi lancia una raccolta di firme (al momento sono circa 22800) sul sito change.org per chiedere che una commissione europea dei diritti dell’uomo riesamini il caso: “Non mi fermo, voglio giustizia”.

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