Non mi piace che non si parli dei problemi vissuti all’interno delle famiglie omoparentali, dei genitori omosessuali. Ho ben chiaro che questo, in Italia, è il momento delle rivendicazioni, ma non riesco a farmi convincere, nemmeno dalla più resiliente delle associazioni, che le urla della militanza e i dogmi dell’ideologia possano essere convincenti, seducenti, capaci di aprire brecce nei cuori dei più sordi. Preferisco i bisbigli, i chiaroscuri, i dubbi, le domande. Preferisco la meravigliosa verità, con tutte le sue sfaccettature, anche le più indigeste. Mi spiego.

Non è vero che per noi omogenitori vada tutto bene, che la vita all’interno della famiglia sia rose e fiori, che se non ci fossero omofobia, diffidenza e chiusura nella società, o se ci fossero leggi a regolare il tutto, mai una brezza verrebbe a turbare il nostro paradiso terrestre. Ciò non accade nelle coppie eterosessuali, nelle famiglie tradizionali, e nemmeno a noi. Perché tutti hanno difficoltà, è ovvio, e affrontare salite, come anche discese, è il movimento fisiologico della vita.

Noto che noi famiglie omoparentali subiamo spesso una certa ansia di dimostrare di essere “all’altezza” delle famiglie eteroparentali: capaci come loro, competenti come loro, abilitati come loro, coi figli sani come i loro. Ma, a parte che appunto non tutte le famiglie tradizionali sono capaci e competenti (abusi sui minori e violenza sulle donne sono tragici esempi), credo che definire un’esperienza paragonandola ad un’altra per gli aspetti in comune e non per le differenze caratterizzanti implichi l’avere introiettato una valorizzazione dell’esperienza con cui ci si paragona a dispetto della propria, oltre a un certo timore di rilevare gli elementi di peculiarità che rendono unica ogni vicenda esistenziale.

Per esempio, una coppia di omogenitori donne, non si deve forse confrontare con l’aspetto competitivo della maternità? Essere due mamme, anche se in modo diverso perché una lo è anche in modo biologico e giuridicamente riconosciuto e l’altra unicamente in modo affettivo, non deve essere sempre facile. Anzi. Chi è più mamma? Chi è più brava? A chi vorrà più bene il piccoletto? Ho ascoltato il racconto di Eva: una notte si è accorta che Riccarda, la sua compagna e madre non biologica di loro figlio, pur non avendo latte aveva attaccato il piccolo al seno: così, per provare, per amore. Eva però di latte ne aveva eccome, e si è sentita strana, ostile nei confronti dell’iniziativa della compagna. Sveva invece mi ha raccontato che, pur essendo la madre biologica della sua bambina, si sente più insicura della compagna: “Avete presente quando gli africani ti dicono “sei razzista” se non compri l’accendino?”, mi diceva, “ecco, la stessa cosa: siccome la mia compagna è il soggetto debole, ossia senza un legame biologico con nostra figlia e senza riconoscimento giuridico, a me viene da farmi sempre da parte, troppo, quasi che fossi una prepotente usurpatrice. Addirittura gli amici dicono che la bambina assomiglia a lei, forse per risarcirla, forse per compensarla, forse perché in effetti i neuroni specchio sono micidiali. Mai una volta che lo dicessero a me, e questo mi fa stare male”. E tra due uomini cosa succede?

La cosa che secondo me è più interessante, insomma, non è tanto affannarsi per omologarsi a una famiglia idealizzata – necessariamente eteroparentale, visto che è l’unica raccontata dall’immaginario collettivo; identificarsi col Mulino bianco (che, appunto dicevamo, oltre al bianco nasconde molte terribili declinazioni di nero) declinandolo in arcobaleno (come se fossero i mulini a dare le patenti del bravo genitore e della famiglia felice!). E’ interessante piuttosto raccontare la particolare unicità delle esperienze che si vivono nel formare una famiglia “diversa”, comprese le difficoltà che si incontrano.

Diciamolo: la famiglia omoparentale è una rivoluzione, e non solo per chi vive una vita tradizionale, o per la cosiddetta “società”. Lo è anche per quegli omosessuali che diventano genitori. E questa rivoluzione, come sempre accade, intimorisce, fa paura, rende insicuri e vulnerabili. Ma anche forti del coraggio trovato, come coraggiosi sono tutti i pionieri: e quindi, dai, basta con la rincorsa degli studi scientifici, delle dichiarazioni delle associazioni internazionali di pediatri, basta con la disperata ricerca di qualche magico verdetto che dica sì, ego te absolvo, o cui delegare la responsabilità degli effetti delle nostre scelte. Le ricerche benfatte, quelle che per esempio dicono che i figli delle famiglie omoparentali non sono svantaggiati rispetto a quelli delle famiglie eterosessuali, servono certamente e sono molto preziose, ma sono uno strumento politico e scientifico: non possono diventare ciò che privatamente rassicura e tranquillizza noi omogenitori. Perché la vita è la nostra, le scelte sono le nostre, e nostra è la responsabilità di aver deciso di fare un salto nel buio.

Insomma, anche se non siamo uguali alle famiglie tradizionali, o forse proprio per questo, possiamo essere felici e sviluppare valore. E magari addirittura scoprire di avere possibilità in più proprio grazie alle differenze iscritte nelle nostre scelte. Quindi rivolgiamo le urla di protesta contro la parte più nascosta di noi, quella che si rifiuta di contattare le nostre emozioni, anche le più complesse, le emozioni spesso ambivalenti che riguardano le incredibili scelte compiute, e trasformiamole in bisbigli e sussurri di meraviglia, in desiderio di comprensione, conoscenza e narrazione. Accendiamo una torcia per illuminare il buio, e andiamo a scoprire in cosa consiste questa stupefacente esperienza inesplorata, coi suoi vantaggi e coi suoi limiti. Saranno le nostre vite sorprendenti e quelle dei nostri nuovi figli a creare il pieno nel vuoto, a costruire un immaginario vitale e vitalizzante, a fare evolvere il mondo.

 

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