I mal di pancia non fanno che aumentare, in casa Forza Italia. Un Senato pieno di nominati non va giù a tutti. Anzi, resta indigesto a molti. La chiamano “dialettica interna al partito”, ma da fuori ha tutta l’aria di una spaccatura. Ieri, mentre in Commissione Affari costituzionali arrivava il subemendamento firmato da 35 senatori, tra cui 18 della maggioranza, che ripropone il Senato elettivo, tra le file un tempo granitiche di Forza Italia si consumava una prima frattura: quattro senatori azzurri presentavano proposte per tornare all’elezione dei membri di Palazzo Madama, in direzione contraria all’indicazione del gruppo. Un sub-emendamento è stato presentato congiuntamente da Luigi D’Ambrosio Lettieri e da Lucio Tarquinio. Giacomo Caliendo e Augusto Minzolini hanno invece depositato ciascuno una propria proposta. 

Normale dialettica a prima vista, se ad agitare le acque un tempo tranquille di FI non fosse intervenuta la riunione dei senatori azzurri tenuta in mattinata. Un’incontro turbolento, racconta chi c’è stato, durante il quale Minzolini si è issato a condottiero della larga fetta di senatori che del nuovo Senato non vogliono fare un’assemblea di nominati: secondo i retroscena circolati, due terzi degli onorevoli forzisti preferirebbero un Senato elettivo e quindi diverso da quello del patto Renzi-Berlusconi e lo stanno facendo capire in tutti i modi. La riunione, a cui hanno partecipato sia Denis Verdini, mediatore di Forza Italia per le riforme con il Pd, sia Giovanni Toti, consiglieri politico di Silvio Berlusconi, si è quindi chiusa prima che gli animi si accendessero ulteriormente.

“Ti racconto com’è andata – spiega Augusto Minzolini a ilfattoquotidiano.it – oggi alla riunione il primo a prendere parola è stato Paolo Romani, che ha spiegato le ragioni per cui secondo lui bisogna proseguire sulla strada intrapresa. Poi è stata la volta di Verdini, che ha detto le stesse cose. Dopodiché è cominciata la discussione, molto accesa e l’aria è cambiata. Abbiamo parlato in quattro: prima Razzi, poi Caliendo, quindi Zuffada e poi è toccato a me: su quattro interventi non ce n’è stato uno a favore“. Quattro contro tutti? No, per Minzolini non è così: ” L’emendamento che ho presentato io in favore del Senato elettivo (“Il Senato delle Autonomie è eletto a suffragio universale e diretto” recita il testo, ndr) è stato firmato da 40 parlamentari: 37 sono esponenti di Forza Italia“. Niente male, i senatori azzurri sono in tutto 59. “Ricordi cosa è accaduto due settimane fa? – continua Minzo – io e altri 33 senatori scrivemmo  a Romani per chiedere una riunione urgente del gruppo per discutere dei risultati delle europee. Capito? C’era e c’è voglia di discutere”.

Da fuori si vede una spaccatura, al punto che Renato Brunetta ha annunciato per la prossima settimana la convocazione  di una riunione dei capigruppo di Camera e Senato alla presenza di Silvio Berlusconi per “delineare in maniera chiara e unitaria la posizione di Forza Italia sulle riforme”. “Di certo io la mia firma sotto questa cosa non la metto – sentenzia l’ex direttore del Tg1 – se chiediamo l’elezione diretta del presidente del Consiglio, come facciamo a voler creare un Senato di non eletti? Mi facciano capire capire: prima ci schieriamo contro chi non ha un investitura popolare e poi vogliamo un’assemblea di nominati?”. Alle spine l’accordo del Nazereno? “Alla base di quello c’era l’Italicum. E non firmo nemmeno quello: con la soglia al 37%, è un doppio turno camuffato“. E l’immunità? “E’ necessaria: serve un riequilibrio tra i poteri. Ma come si fa a dare l’immunità a gente che nemmeno è eletta?”. Quindi la spaccatura appare netta: “Io ti ho raccontato i fatti, l’aria che tira la capisci da te”. 

Tira un’aria che fa capire come il reggimento azzurro che ai bei giorni marciava compatto in formazione oplitica sotto la guida sicura di un Silvio Berlusconi quasi invincibile non c’è più e in cui Minzolini da tempo mostra una certa insofferenza. Se il 29 maggio bollava il 17% preso alle elezioni con un “Forza Italia ha sbagliato tutto” e soli 3 giorni fa ha accusato il partito di “rinnegare il suo passato” in tema di giustizia, l’impressione è che Minzolini si sia stancato di fare il soldato semplice. Ma non è che mira al posto di coordinatore nazionale? “Io al posto di Toti? Ma no, io andavo controcorrente pure quando facevo il direttore del Tg1. Lo vuoi sapere? Io voglio tornare a fare il giornalista”. 

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