Ancora ombre sulla ricostruzione nel post terremoto dell’Aquila, distrutta dal sisma del 6 aprile 2009. La Guardia di Finanza sta eseguendo sette ordinanze di custodia cautelare, quattro in carcere e tre ai domiciliari, nei confronti di imprenditori impegnati nella ricostruzione. I provvedimenti, emessi dal gip Marco Billi, riguardano una lunga indagine sull’infiltrazione dei Casalesi nei cantieri della ricostruzione degli edifici privati danneggiati dal sisma. Gli imprenditori arrestati sono accusati, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. 

Per massimizzare i profitti nei milionari appalti della cosiddetta ricostruzione privata i sette imprenditori coinvolti nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia dell’Aquila si rivolgevano alla camorra, in particolare al clan dei Casalesi, per farsi procurare le maestranze a basso prezzo. È quanto emerge dagli atti dell’operazione “Dirty Job” che ha portato agli arresti, tre in carcere e quattro ai domiciliari, di sette imprenditori che operano nell’ambito della ricostruzione privata, quella caratterizzata dall’assenza di bandi pubblici con i lavori che possono essere affidati direttamente dai cittadini proprietari degli immobili danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009; per questo l’accusa di “contiguità con il clan dei Casalesi”. Le sette misure cautelari sono state tutte eseguite dagli uomini della Guardia di Finanza dell’Aquila. I tre appartenenti alla famiglia Di Tella, Alfonso, Cipriano e Domenico, il marsicano Michele Bianchini, in carcere, e l’ex presidente dell’Aquila Calcio, Elio Gizzi, attuale amministratore delegato e direttore generale del sodalizio rossoblù, e i fratelli Dino e Marino Serpetti, ai domiciliari.  Gli indagati dovrebbero essere una ventina tra imprenditori e soggetti che lavoravano per loro. Secondo quanto si è appreso i sette stavano effettuando importanti e ingenti lavori nell’ambito della ricostruzione privata.

“La vera forza delle mafie sta fuori le mafie, in quella zona grigia che le circonda e assume rapporti a scopo di profitto”. Così il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, nel corso della conferenza stampa all’Aquila dopo i sette arresti di imprenditori accusati di “contiguità con il clan casalesi”. “Oggi non parleremmo di infiltrazioni – ha fatto notare – se non ci fossero alcune imprese che, dopo aver acquisito dei lavori, li hanno appaltati in toto alle imprese criminali tramite i Di Tella”. Una critica è arrivata alla governance della ricostruzione. “L’insufficienza dei controlli è stata agevolata da un quadro normativo molto debole – ha attaccato – non affidato a norme vincolanti, ma a linee guida puntualmente disattese”. Roberti ha rimarcato anche che “non ci sono atti violenti, ma solo intimidazioni a cedere indietro una parte del guadagno che andava a comporre fondi neri. Ma c’era l’accordo di tutti – ha proseguito – i lavoratori venivano presi, portati qui a lavorare e poi costretti a restituire una parte dei loro legittimi guadagni al clan e agli imprenditori”.

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