Ogni indagine ha la sua storia. E questa nasce dall’esperienza di un investigatore della Guardia di Finanza che per anni ha indagato – colpendolo duramente – il contrabbando nel Brindisino. Parliamo dell’inchiesta che oggi ha portato a sette arresti: la camorra s’era infiltrata nella ricostruzione delle case private distrutte dal terremoto a L’Aquila. Se non fosse stato per il fiuto e l’esperienza di un finanziere, però, questa storia non potremmo scriverla. Tutto incomincia due anni fa.

L’uomo dei casalesi
A L’Aquila le voci corrono, qualcuno dice che il costruttore Alfonso Di Tella, residente in città da trent’anni e originario del casertano, impegnato nella ricostruzione, abbia contatti con la camorra dei Casalesi. Ma sono voci. Soltanto voci. Nessuna prova. Finché tra le voci ne spunta una: Di Tella va spesso a Venezia. Per giocare al casinò. Ed ecco che l’investigatore ricorda i tempi brindisini, le indagini sul contrabbando, e quella volta che riuscì a incastrare un boss delle bionde. Sono passati più di vent’anni, ma l’investigatore ricorda un dettaglio fondamentale: i casinò hanno l’obbligo di filmare i clienti e di registrarne entrata e uscita. E così basta una semplice richiesta: è vero che Di Tella frequenta, come dicono le voci in città, il casinò di Venezia? Dalla casa da gioco arriva una prima risposta: Di Tella è spesso lì. L’investigatore insiste: chiede i nomi di chi entra nei minuti precedenti al suo ingresso e chi esce dopo di lui. E le voci non sono più soltanto voci: Di Tella frequenta uomini legati al clan. E non si tratta – come vedremo – di uomini secondari. Ma c’è di più.

Quei summit al casinò di Venezia
Il casinò di Venezia è il luogo dei loro incontri per eccellenza, il luogo dei summit, dove tra una fiche e l’altra girano soldi e gli uomini vicini al clan si passano informazioni, anche sulla ricostruzione di L’Aquila. Ed ecco che l’intuizione di un investigatore – e di tutta la sua squadra – porta le Fiamme Gialle a incastrare le infiltrazioni degli uomini vicini alla camorra. I finanzieri a si presentano nel casinò, negli stessi giorni in cui Di Tella e gli altri siedono al tavolo verde, li filmano, li seguono, li pedinano, li intercettano. Si scopre che, senza neanche menzionarla, gli uomini vicini al clan si danno regolarmente appuntamento nella sala da gioco veneziana.

Sette arresti
Oggi sette persone sono state arrestate per reati di estorsione, aggravati dalla modalità camorristica, nella ricostruzione delle abitazioni private aquilane. Un dato socialmente devastante: non parliamo di grandi opere, ma di affari per 10 milioni, destinati alla ricostruzione dei singoli condomini. Un’infiltrazione nel senso letterale del termine: parliamo del tessuto sociale della città che vede “inquinato”, come scrive il gip Marco Billi, “il settore della ricostruzione privata”. Oggi la procura aquilana guidata dal procuratore Fausto Cardella, con l’indagine condotta dal pm David Mancini, ha arrestato Di Tella, insieme con il fratello Cipriano e il figlio Domenico, più quattro imprenditori aquilani – Elio Gizzi, Michele Bianchini, Dino e Marino Serpetti – con l’accusa di sfruttamento ed estorsione, con l’aggravante di voler finanziare il clan. E l’indagine – condotta dal comandante provinciale della Gdf Giovanni Domenico Castrignanò – racconta che l’Aquila era diventata preda di Casalesi di primissimo piano. Un risultato talmente importante che ha visto la presenza, oggi in conferenza stampa, del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, accompagnato dal procuratore della Direzione nazionale antimafia abruzzese Diana De Martino, dal generale della GdF Francesco Attardi e dal colonnello Gianluca De Benedictis

“Ho 50mila euro in fiches”
Ma torniamo al Casinò di Venezia: tra gli uomini filmati dagli investigatori della Guardia di Finanza, c’è anche un costruttore incensurato, Alfonso Di Tella, nato a Casapesenna e residente a L’Aquila da 30 anni: nel Casinò veneziano incontra Aldo Nobis e Raffaele Parente, entrambi vicini al clan e – in particolare – il primo affiliato alla costola guidata da Michele Zagaria. I tre – annota la GdF – vengono filmati nel casinò di Venezia appena sei mesi fa. E’ il 25 gennaio quando gli investigatori filmano Aldo Nobis mentre consegna all’amante romena di Di Tella una fiche da 5mila euro che la donna ripone nella borsa. Venti minuti dopo le consegna altre fiches del valore di circa mille euro l’una.

L’autista di Zagaria
A ottobre Di Tella viene intercettato mentre, parlando del comportamento di Nobis all’interno del Casinò, dice che “sta facendo macelli” e spiega di avere in tasca una disponibilità di 50mila euro in fiches”. Di Tella ne parla con Raffaele Cilindro che, secondo l’accusa, in quei mesi chiede ripetutamente soldi al costruttore, lo incontra personalmente a L’Aquila. Cilindro non è un personaggio come tanti: è l’autista di Pasquale Zagaria, altro elemento di spicco del clan casalese.

Il pasticcere dei pizzini
Di Tella era anche in contatto con Giuseppe Santoro, pasticcere casertano, affiliato al clan, proprietario della pasticceria Butterfly definita – da un collaboratore di giustizia – lo “snodo” dei pizzini destinati a Michele Zagaria durante la sua latitanza. E Luigi Diana detto ‘o diavolo, ritenuto uno degli uomini di fiducia di Michele Zagaria, chiama Di Tella per il matrimonio di suo figlio Cipriano: “Con chi ho l’onore di parlare?”, dice Di Tella. “… col diavolo…”, risponde Diana, prima di rivolgergli gli auguri per il matrimonio, aggiungendo di salutare moglie e figli. Erano queste le frequentazioni del costruttore Di Tella che, con altri imprenditori aquilani, aveva messo le mani sulla ricostruzione degli edifici privati: un affare da 10 milioni, con una decina di cantieri finiti nel mirino della procura, fino agli arresti di oggi.

Il pizzo degli operai e l’ultimo tassello di Billi
E le indagini rivelano che, a pagare il pizzo, erano proprio i 40 operai – tutti originari del casertano – delle società che ricostruivano i palazzi: pagavano un pizzo sullo stipendio. Di Tella detraeva infatti la quota del tfr e i soldi della cassa edile. Ogni indagine ha una sua storia. E questa ne racchiude una seconda: a firmare gli arresti è il gip Marco Billi, l’uomo che in solitudine ha emesso, qui a l’Aquila, una sentenza destinata a passare alla storia: quella con cui ha condannato la Commissione Grandi Rischi. Non fu “un processo alla scienza” ma alle affermazioni “assolutamente approssimative, generiche e inefficaci in relazione ai doveri di previsione e prevenzione” sul sisma. Ora Billi sarà trasferito a Roma e il suo ultimo atto, nella procura aquilana, è quello che ha consentito l’arresto sulle infiltrazioni della camorra in città.

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