“Un carico di granoturco ucraino contaminato da diossina, sostanza altamente tossica e cancerogena. Oltre ventimila tonnellate di mais arrivate a marzo al porto di Ravenna destinate ai mangimifici e agli allevamenti italiani, rintracciate e bloccate”. È la denuncia che arriva dal sito d’informazione PeaceLink, e che trova conferma in ambienti sanitari e al ministero della Salute. Secondo quanto appreso dal fattoquotidiano.it, l’11 giungo, infatti, l’Ausl della Romagna ha attivato il sistema di allerta rapido, denominato rasff, per una partita di grano con un livello di sostanze dannose pari a circa quattro volte i limiti di legge. Una procedura che comporta l’immediato blocco delle merci e degli alimenti, uova, carne e latte, provenienti da animali a rischio. Così da ridurre al minimo il pericolo per i consumatori.

“È un fatto molto grave, perché bastano poche settimane per contaminare un animale” è il commento di Alessandro Marescotti, presidente di PaeceLink, che il 19 giungo ha mandato un appello al governo per fare chiarezza sulla vicenda e sulla reale dimensione del rischio. Ricostruendo il percorso del grano intossicato, si scopre che la nave, denominata Tarik-3, parte a inizio marzo da Illychevsk, uno dei principali snodi portuali di quella che spesso viene soprannominata “il granaio d’Europa”, ossia l’Ucraina. Basti pensare che solo a Ravenna, fulcro commerciale di tutti gli arrivi dall’est, lo sbarco di merci secche e materie prime agricole sono in rapido e costante aumento (+59%), più di tutti gli altri prodotti, proprio grazie alle consistenti importazioni di mais ucraino. Sulla nave Tarik-3 ci sono poco più che 26 mila tonnellate (di cui 20 mila commercializzabili) di grano a uso zootecnico. Sono destinati all’Italia, alla Grecia e al Montenegro. Passa la frontiera e arriva a Ravenna, dove il 5 marzo cominciano le operazioni di sbarco, che termineranno 6 giorni dopo. A giungo poi il carico, esportato da una società svizzera e comprato da una srl di Ravenna, viene smistato in due magazzini, mettendo in moto 900 camion.

Ma a quel punto i monitoraggi del servizio sanitario locale sono già partiti. Il 15 maggio infatti viene prelevato un campione di circa 30 tonnellate di grano e finisce nei laboratori della sede bolognese dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Lì vengono avviate le analisi. E i risultati evidenziano un livello di intossicazione parecchio superiore ai valori minimi consentiti. Entrando nello specifico, si tratta di 2,92 nanogrammi di diossine e furani per chilogrammo, contro un limite fissato a 0,75.

Da qui l’attivazione del sistema di allerta comunitario (Rapid alert system for food and feed), che consente di notificare in tempo reale i rischi per la salute pubblica legati ad alimenti, mangimi e materie prime, e permette di informare tutti gli stati membri. Nel caso del granoturco ucraino il grado di rischio è elevato: viene classificato come “allerta,” che è il livello massimo. Detto in altre parole, significa che il prodotto comporta un grosso pericolo per la salute del consumatore, perché è già in commercio e già nel circuito degli allevamenti. Per questo ora il carico, rintracciato e bloccato, non può essere diffuso, né venduto. E non è escluso che, nei prossimi giorni, le analisi sul mais ucraino realizzate dall’Ausl arrivino anche sul tavolo della Procura.

“Servono controlli obbligatori e verifiche più stringenti” spiega ancora Marescotti. “Noi da tempo parliamo della necessità di creare un marchio Dioxin free, proprio come quello Ogm free. Darebbe la possibilità alle aziende di certificare i propri prodotti come liberi da diossina, che è una sostanza cancerogena, trasmissibile da madre a figli, e che entra nel nostro corpo quasi esclusivamente con l’alimentazione”.

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