Il ‘cinno’ tifava Los Angeles Lakers e Kobe Bryant, ma ora tra i re della Nba ci è finito lui: Marco Belinelli, 28 anni da san Giovanni in Persiceto, Bologna, ha conquistato la luna. Oggi il sogno iniziato sul parquet della bassa alle scuole Mameli all’inizio degli anni ’90 è diventato realtà. Battendo per 104-87 in gara 5 i Miami Heat, i San Antonio Spurs si sono laureati campioni Nba sui detentori del titolo dei Miami Heat. Giornata storica per il basket italiano con Marco Belinelli, 4 punti, primo italiano ad aggiudicarsi l’anello di campione Nba. Il ragazzo di San Giovanni in Persiceto, che quest’anno aveva già scritto una pagina di storia della pallacanestro italiana vincendo la gare del tiro da 3 punti all’All Star Game, è salito sul podio sventolando il tricolore. “L’emozione è enorme”, racconta al fattoquotidiano.it, il sindaco di San Giovanni, Renato Mazzuca, reduce dalla bolgia di 400 persone che in bocciofila ha seguito il match fino alle 4.30 del mattino, “Marco è di San Giovanni in Persiceto non di Bologna. Mi piace pensare che si sia realizzato il sogno di un ragazzo in una cittadina semplice che dà la possibilità a tutti di emergere”. Ed ora la festa speciale che però arriverà a settembre 2014: “Tra le ferie guadagnate di Marco e i suoi impegni familiari abbiamo concordato con lo staff per una megafesta durante la fiera di settembre prossimo. Ci saranno molti ospiti e gli consegneremo un premio che nessun persicetano ha mai ricevuto”. 

L’anello il ‘Beli’ lo ha toccato con un dito, anzi con la mano aperta con cui nell’agosto 2006, girone mondiale, Italia vs. Usa, effettuò uno ‘slum dunk’, con fallo, sotto al naso di Carmelo Anthony. Dire che lì, davanti allo staff americano, con diversi scout Nba in tribuna, il ‘Cinno’ di San Giovanni si è costruito il futuro oltreoceano, significa regolare l’orologio della fama sui 20 anni. Precoce, il ragazzino figlio del medico chirurgo Ettore, lo è fin da bimbo. Alla Vis Basket, la squadra del paese, ce lo porta direttamente mamma Iole quando Marco ha 6 anni. Il primo coach si chiama Franco Bozzoli e ancora oggi ricorda come il bambino sapesse mirare qualsiasi oggetto o bersaglio anche senza pallone e soprattutto riuscisse a gareggiare con gente più grande di lui battendola spesso. Mancava ancora la forza fisica, ma la mira era già il fiore all’occhiello del campione persicetano. Ecco che nel 1997 viene notato dagli scout della Virtus Bologna e finisce nella mani di Massimiliano Milli, allenatore delle giovanili bianconere. In due anni l’enfant prodige, allenato da un altro coach Virtus, Marco Sanguettoli, che poi tornerà nella carriera fulminante per delle full immersion estive prima di scelte importanti proprio come l’ultima l’estate scorsa per gli Spurs. Beli fa vincere alla squadra i campionati regionali e vince il premio di miglior giocatore del torneo. Da notare che il ragazzo ha appena compiuto 15 anni, fa la seconda superiore e ancora non è cresciuto fino agli attuali 1 metro e 96 cm, e ancor meno pesa i 90 chili delle Finals Nba.

Eppure è la prima squadra della Virtus, quella allenata da Ettore Messina, con Antoine Rigaudeau, Marko Jaric ed Emanuel Ginobili, oggi sul tetto della Nba con lui tra gli ‘Speroni’ texani di San Antonio, a prenderlo con sé. La prima è contro Udine, e il cinno non stecca: tripla al primo colpo e il marchio di fabbrica è servito. Con le bombe da tre, o il tiro ‘ignorante’, Belinelli, comincia a scavare fossati dove far stendere gli avversari. Giusto un paio di anni ed è la Virtus a crollare nel baratro del fallimento. Beli tentenna, rifiuta la Virtus Roma e sceglie la Fortitudo, sponda biancoblù di Bologna. E’ l’altra fetta del mondo del basket bolognese, i cugini, ma il ragazzo che ora i texani chiamano “Rocky”, affina il tiro da tre e stupisce, pur non vincendo lo scudetto. E’ la determinazione e allo stesso tempo la spensieratezza con cui va in campo che lascia il segno: Beli sul parquet si diverte, lo dice, lo spiega e lo conferma ogni fine stagione. E lì conferma anche che il sogno, raggiungibile, è l’Nba.

Salpa per l’America nel 2007: prima di lui solo Stefano Rusconi, Vincenzo Esposito e Danilo Gallinari. Due stagioni a Oakland con i Golden State Warriors di Don Nelson che lo dimentica spesso in panchina, poi nel 2009-2010 fa tappa a Toronto con i Raptors, ma è nelle due stagioni (2011-2012) con i New Orleans Hornets che il Cinno decolla e arriva perfino nei playoff. L’annata 2012-2013 è l’attimo dei Chicago Bulls poi rifiutando 10 milioni di dollari offerti dai Cleveland Cavaliers, ne accetta solo 6 per un triennale a San Antonio con gli Spurs affamati di rivincita contro Miami. L’obiettivo è chiaro: non c’è da vivacchiare, ma da vincere il titolo. Lo dice ai quattro venti Belinelli stesso. Poi il resto è storia recente: la gara del tiro da tre vinto nel febbraio 2014 all’All Star Game con stampato sulla linguetta delle scarpe ‘Sgp’, ovvero San Giovanni in Persiceto, il paese d’origine con 25 mila anime che nell’ultima notte magica, inseguendo la tripla non arrivata, ha atteso sveglio il suo campione affollando la bocciofila con megaschermo che nemmeno l’altro giorno Balotelli e Marchisio mentre stendono l’Inghilterra. 

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