La vicenda è ormai nota ai più: la Rai ha deciso di non rinnovare l’accordo che, da anni, la legava a YouTube per la diffusione dei propri contenuti e, conseguentemente, da giorni, ha iniziato a chiedere la rimozione di qualsiasi contenuto da essa prodotto o trasmesso, pubblicato sulle pagine della più grande piattaforma di videosharing del mondo.

Sta accadendo così che decine di migliaia di utenti che, negli anni, hanno caricato online spezzoni di trasmissioni Rai anche di tipo informativo e giornalistico per raccontare punti di vista, fare critica e far rimbalzare fatti ed informazioni, si stanno vedendo recapitare da Google una comunicazione con la quale li si informa che il “loro” contenuto è stato rimosso a causa di una segnalazione di violazione del diritto d’autore pervenuta dalla Rai.

Accade, persino, a politici, aspiranti politici, personaggi noti e meno noti e gente comune che hanno caricato su YouTube spezzoni di video relativi a proprie apparizioni in TV.

Alla base della decisione la convinzione dei vertici della concessionaria pubblica radiotelevisiva secondo la quale i propri contenuti varrebbero di più di quanto YouTube le ha sin qui pagato e si è dichiarato disponibile e pagarle per l’avvenire e, pertanto, sarebbe più conveniente e profittevole lasciare i video solo ed esclusivamente sul proprio portale.

Una decisione – corretta o sbagliata che sia dal punto di vista commerciale – solo ed esclusivamente economica, con forti analogie a quella che qualche anno fa, portò Mauro Masi, all’epoca direttore generale della RAI, a voltare le spalle a Sky, per non svendere – disse all’epoca l’ex DG – i contenuti della Rai alla tv del magnate australiano del satellite.

E’, quindi, essenzialmente una questione di soldi, pochi o tanti che siano. Ed il problema è proprio questo. La RAI sta chiedendo a YouTube di rimuovere tutti i propri contenuti in quanto titolare dei relativi diritti d’autore e lo sta facendo come se quei contenuti fossero una qualsiasi “merce” venduta “a peso” ad un supermercato che non ha pagato il conto e che, pertanto, deve essere ritirata dagli scaffali e riportata nei magazzini del fornitore.

Non è però così.

Lo spezzone di una trasmissione televisiva, magari di cronaca, attualità o approfondimento – specie se prodotta e trasmessa dalla concessionaria pubblica radiotelevisiva – non è come un barattolo di conserva, una confezione di detersivo o un sacco di patate.

Il suo valore è altro e diverso rispetto a quello squisitamente economico che, pure, è giusto e sacrosanto che le venga riconosciuto.

In tv si raccontano storie, si promuovono idee e discussioni, si propongono e contrappongono posizioni politiche, ideologiche ed economiche, si parla del Paese e dei suoi cittadini ed è compito istituzionale proprio della tv di Stato rappresentare il palcoscenico naturale – ed auspicabilmente aperto a tutti – per questo genere di contenuti.

Ed è, per questo, che non è democraticamente sostenibile che proprio la concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo – una società, peraltro, interamente controllata dallo Stato – chieda la “rimozione a strascico” di tutti gli spezzoni delle proprie trasmissioni da una piattaforma telematica senza guardare al loro contenuto, alla loro natura ed alle finalità perseguite dagli utenti che quei contenuti hanno caricato online.

Non c’è lettura né interpretazione da azzeccagarbugli del contratto di servizio pubblico che tenga e a nulla vale sostenere che lo si fa per difendere il valore economico del prodotto della tv di Stato: la RAI non può proporre una visione tanto limitata e democraticamente insostenibile del diritto d’autore come se la privativa autorale valesse davvero a consentire a chi ha prodotto e trasmesso un contenuto di travolgere, in nome della tutela proprio portafoglio, ogni altro diritto ed interesse.

Ma, a ben vedere, questa è anche la conclusione alla quale, legge sul diritto d’autore alla mano, si arriverebbe in relazione a molti dei contenuti che, in queste ore, la RAI sta chiedendo – e, sfortunatamente ottenendo – vengano rimossi da YouTube.

Il diritto d’autore, infatti, deve, in talune occasioni, cedere il passo davanti a chi utilizza contenuti protetti per fare informazione, cronaca o, anche, semplicemente promuovere discussioni o proporre critiche su fatti di attualità, politica e società.

Se crede sia la strada giusta, quindi, la Rai continui pure ad esigere la rimozione da YouTube dei propri contenuti ma solo di quelli in relazione ai quali non sussistono davvero ragioni – democratiche e giuridiche – che legittimino i cittadini italiani a riprodurli e condividerli online.

E’ urgente, se la Rai non si fermasse, che il governo, azionista di maggioranza della tv di Stato, intervenga e che altrettanto faccia la Commissione di vigilanza.

Quella tra Rai e YouTube – se giocata in questi termini – non è più solo una partita tra due imprenditori liberi di cercare, vicendevolmente ed in assoluta autonomia, la massimizzazione dei profitti per ciascuno.

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