La crisi ha esiti fatalmente negativi sulla società nel suo complesso. Contribuisce ad aumentare la disuguaglianza sociale ed è causa determinante di devastanti tragedie individuali. La rovina economica, la perdita del lavoro, gli inevitabili problemi familiari, lo stress che ne consegue non sono facilmente sopportabili, e spesso sono accompagnati da uno stato di profonda depressione, di disagio sociale e di emarginazione.

Il crollo della Borsa del ’29 aveva provocato negli Stati Uniti una catena di suicidi senza precedenti: migliaia di persone che avevano perduto tutto, compresa la speranza di sopravvivere al disastro di un sistema economico in cui avevano creduto e in cui avevano riposto ogni fiducia. Oggi la crisi è tornata a gravare sulle spalle di milioni persone, creando le stesse condizioni di disagio che il mondo aveva conosciuto agli inizi degli anni Trenta.

Così nell’Europa del terzo millennio, sconvolta dalla peggior crisi economica dopo quella del ’29, sono tornati a manifestarsi casi di suicidio: forme estreme di disperazione che risaltano in un quadro più ampio di vite disastrate, impoverite, ridotte in miseria e dunque costrette ad affrontare lo stress di una condizione ingiusta, insopportabile e priva di speranza. La disuguaglianza, già presente in forma strisciante, e perciò meno appariscente, in tempi “normali”, si fa eclatante e disumana a partire dal 2008 nei paesi più deboli della Comunità Europea. Taglia in due la popolazione, dividendola con una cesura netta, tra chi ce la fa e chi non ce la fa. Tra chi riesce a superarla, sia pure a costo di sacrifici e rinunce, e chi soccombe, travolto dalle conseguenze economiche, che non si limitano a cancellare posti di lavoro, consumi, qualità della vita, ma hanno gravi ripercussioni sull’esistenza stessa delle persone e determinano la loro aspettativa di vita.  

Solo di recente si sono cominciati a studiare gli effetti collaterali della crisi sulla vita delle persone, soprattutto nei casi in cui le condizioni di emergenza si protraggono per lunga durata e determinano mutamenti persistenti, tali da non essere riassorbibili in tempi adeguati.

Il libro di Göran Therborn (The Killing Fields of Inequality, Polity Press, 2013), già docente di sociologia a Cambridge, colma questa lacuna con una ricerca empirica di grande impatto: “La mancanza di rispetto e di controllo delle vostre vite e delle condizioni di lavoro è letale per la vostra salute e aumenta il rischio di una morte prematura” (p. 82). Therborn, in una recente conferenza al Jean Monnet di Firenze, conferma l’incidenza della disoccupazione e della depressione economica sulle aspettative della vita media, prevedendo che almeno il 2,47% delle persone ne subirà le conseguenze entro i prossimi 10-17 anni, il che significa che interesserà oltre 230.000 cittadini della Comunità Europea.

Questo il prezzo della crisi: quasi una guerra, un sacrificio umano consumato sull’altare della grande finanza e dell’insensibilità. 

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