Trent’anni fa, l’11 giugno 1984, moriva Enrico Berlinguer. La sua scomparsa ha coinciso con un tributo, più alla sua figura che non alla politica del Pci, nelle elezioni europee di 6 giorni dopo con il Partito comunista che per la prima e unica volta nella storia repubblicana si attesta come il primo partito, con il 33,33% dei consensi.

Quando nel 1991 Giorgio Gaber scrive la canzone Qualcuno era comunista, indica 43 plausibili ragioni che per diverse persone, contesti e ceti sociali erano state alla base della scelta comunista. Nota è la strofa che riguarda Berlinguer: “Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona” con la successiva che dice: “Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona”. 

Un’icastica contrapposizione tra un uomo che è entrato in tutti i segreti di un trentennio repubblicano e un uomo che quei segreti ha cercato di combatterli e, per quanto possibile, di farli affiorare. Ma anche l’opposizione ha sempre avuto le mani legate: sui complotti e le stragi dal ’69 al ’74 sapeva più di quello che denunciava, temendo però che il disvelamento di tutta la verità potesse essere fatale a una democrazia perennemente fragile. Su questa visione Berlinguer trova in Aldo Moro una forte consonanza.

Nella morsa della guerra fredda Berlinguer ci incappa su entrambi i fronti: naturalmente osteggiato a ovest, dove comunque il leader comunista cercava un’ammissione, come mostra la sua dichiarazione alla vigilia delle elezioni del 20 giugno ’76 quando afferma di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello Nato; altrettanto osteggiato a est, per quanto non apertamente, con un oscuro episodio a Sofia nel settembre 1973 che avrebbe potuto procurargli la morte (Fasanella, Incerti, Sofia 1973. Berlinguer deve morire).

Il leader comunista sa leggere le situazioni, possiede un realismo abbinato alla possibilità di prefigurare anche nuovi equilibri di sistema, sempre nell’ambito della democrazia, com’è evidente nel progetto – poco fortunato – dell’eurocomunismo (con i comunisti francesi e gli spagnoli) e nell’idea di trovare una terza via tra il socialismo reale e il capitalismo.

Naturalmente si tratta di scelte che Berlinguer non compie da solo, ma maturano all’interno di un partito composto da dirigenti preparati e onesti (Amendola, Barca, Ingrao, Jotti, Macaluso, Napolitano, Pajetta, Reichlin, Tortorella).

Nel partito Berlinguer ha capacità di mediazione e possiede un carisma silenzioso; nelle piazze non è mai tribunizio; durante i comizi preferisce – alle invettive – ragionare ed esporre dati, semmai, con il suo gramsciano ottimismo della volontà, infonde fiducia, invita a credere in un’Italia che può cambiare. 

Nel suo cammino politico non sono mancati errori.
1. La sua idea di compromesso storico (non realizzata con la partecipazione diretta al governo, ma prefigurata tra il ‘76 e il ’79 dai governi di solidarietà nazionale) avrebbe rischiato, se prolungata oltre la fase di emergenza, di creare un sistema consociativo senza possibilità di ricambio;
2. Un’eccessiva chiusura nei confronti dei movimenti a sinistra del Pci e delle istanze giovanili;
3. A posteriori possiamo ritenere errata la linea della fermezza sostenuta dal Pci (in ogni caso fu una scelta sofferta) durante il sequestro Moro che impedisce di avviare una trattativa per salvare il prigioniero.

Berlinguer non è mai stato dimenticato né dai cittadini né dalla politica, con diversi partiti che ne hanno rivendicata l’eredità. Anche all’estero Michail Gorbacev riconosce di avere guardato al Pci di Berlinguer nell’intraprendere il processo di rinnovamento del Partito comunista sovietico (Pcus). In Italia Pds – Ds e il Partito democratico si sono sempre presentati come eredi di Berlinguer così come hanno fatto Rifondazione comunista e i partiti nati dalle successive scissioni, come i Comunisti italiani e Sel. E’ altrettanto evidente che tra i Democratici da una parte, Sel e Rifondazione comunista dall’altra, il significato dell’eredità berligueriana cammina in direzioni divergenti. 

Rifondazione comunista quando nasce, nel dicembre 1991, ha il suo punto di riferimento in Berlinguer che nel 1980 parla davanti ai cancelli della Fiat. Sono gli anni in cui il compromesso storico è sfumato e il Pci persegue un’altra strada, quella dell’alternativa democratica, alternativa che nello scenario di guerra fredda, pur ai suoi sgoccioli, resta impossibile.   

Alla fine dello scorso maggio l’ultimo comizio romano del Movimento cinque stelle, prima delle elezioni europee, è terminato con il coro “Berlinguer, Berlinguer”, vedendo nel leader comunista il paladino della questione morale. In realtà Berlinguer non appartiene a nessuno e appartiene a tutti, la sua eredità non è univoca, d’altronde sono diversi gli scenari, è diversa la politica, ormai sempre più intrecciata allo show. L’avreste mai immaginato Berlinguer vestito da Fonzie? Quest’eredità contesa altro non è che la prova della grandezza storica del personaggio e del suo potere di fascinazione, a trent’anni dalla scomparsa.

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