Teme di impazzire, perché non riesce a distinguere il vero dal falso. Non ci sono certezze né punti fermi intorno a lui, tranne le pareti della propria casa, che lo difendono da possibili intrusioni nel suo mondo interiore. La porta dell’appartamento è una barriera da mantenere chiusa o da sbattere con forza, quasi a ribadire i confini della propria sicurezza.

Ma Greta, la sua compagna (Iris Fusetti), è attratta dall’esterno e curiosa per l’arrivo dei nuovi vicini. Al contrario dell’uomo, la donna è aperta alle novità, fa sogni che poi non ricorda troppo bene, desidera stringere nuovi rapporti di amicizia. La coppia protagonista della nuova pièce di Fausto Paravidino si presenta nell’apparente intimità del proprio salotto, ma presto rivela un’altrettanto intima distanza. Lei sogna, ma non sa dire se il sogno sia stato piacevole o meno, sostiene di aver sognato sua nonna, ma poi crede che fosse la vecchia vicina di pianerottolo, morta da poco tempo. Lui non crede nei sogni, a meno che non siano “brutti sogni”. Questo perché il personaggio interpretato dallo stesso autore ha paura: sia del reale, sia dell’immaginario.

Produzione del Teatro Stabile di Bolzano, dove ha debuttato a maggio, I vicini si prepara ad una lunga tournée nei teatri italiani nella prossima stagione. Vederlo nella cornice della Sala Studio del teatro altoatesino è particolarmente suggestivo, perché la disposizione della scena a filo con la platea potenzia la sensazione di essere dentro la casa dove si svolge la vicenda. Lo spettatore è risucchiato in uno spazio che non è soltanto uno sfondo. Grazie anche alle luci di Lorenzo Carlucci e alla scenografia di Laura Benzi, il soggiorno riesce a porsi come personaggio, riempito dalle parole e dalla vita della coppia. Nella ciclicità della giornata, scandita appunto dall’alternarsi di buio e luce, si ritrova quell’orizzonte di certezza che il protagonista prova a difendere chiudendo la porta di casa. Ma da quella porta entreranno anche i vicini, (Davide Lorino e Sara Putignano), con i quali si instaurerà un rapporto non del tutto limpido, in continua trasformazione: dal fastidio e dalla diffidenza iniziali alla complicità anche eccessiva, fino all’insofferenza e all’odio. Sempre in bilico su una drammaturgia dell’assurdo, Paravidino costruisce dialoghi impeccabili, che rendono particolarmente efficaci le scene basate sui fraintendimenti tra i personaggi. Come si nota anche dalla lettura del testo (premio Hystrio 2013), questo crea un effetto di sospensione, tipico del genere horror.

Sulle dinamiche che portano le coppie ad aprirsi, per poi invece allontanarsi, si inserisce l’apparizione della vecchia vicina (Monica Samassa), che si riappropria della casa, raccontando la sua storia di solitudine. Ecco allora che il sogno e l’incubo si confondono, sovrapponendosi al reale. Pur nella loro diversità, le due storie rivelano un importante punto di contatto, nel simbolo della porta, emblema del rapporto con gli altri. La vecchia racconta una paura capace di trasformarla, perché “la guerra non è gentile”, e di farle vedere nel marito “uno sconosciuto davanti alla nostra porta”. Paravidino gioca magistralmente con i piani della rappresentazione, assegnando alla vecchia il registro della narrazione, per rievocare la partenza del marito per la guerra e la storia del suo amore da sopravvissuta. L’intersezione tra i livelli temporali è affidata ai diversi toni dei personaggi, che segnano la differenza tra un presente agito ed un passato raccontato, tra un reale visibile e un fantastico forse soltanto immaginato.

 

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