Le gestione delle infrastrutture ferroviarie nazionali, in molti Paesi europei, resta ancora confinata in un limbo prodotto dalla fine del monopolio pubblico al quale, però, non si è ancora sostituita una vera e propria liberalizzazione del mercato, argomento su cui l’Italia è stata recentemente richiamata anche da Bruxelles. Spesso infatti le aziende ferroviarie pubbliche, ex monopoliste, continuano a gestire anche la rete fisica dei binari, che adesso però viene utilizzata anche dai concorrenti privati, con un evidente conflitto di interesse, la cui unica soluzione – si è più volte ipotizzato – potrebbe arrivare soltanto da uno scorporo dell’infrastruttura, cioè con l’imposizione per legge alle società private di creare delle holding per separare e rendere la sua gestione completamente indipendente anche a livello societario.

Un’ipotesi predominante ma non isolata, tanto è vero che nei giorni scorsi il governo della Confederazione Elvetica ha deciso di muoversi diversamente: per raggiungere l’obiettivo di garantire alle imprese un accesso senza discriminazioni, il Consiglio Federale Svizzero ha ritenuto che, nell’attuale contesto di concorrenza, “una separazione tra infrastruttura ed esercizio non sia un’opzione praticabile”. Pur abbandonando quindi quella che da sempre era considerata la strada maestra, le autorità di Berna hanno stabilito un preciso iter per rendere indipendente la gestione della rete ferroviaria: la proprietà e il controllo di Traccia Svizzera SA, la società che effettua il servizio di assegnazione delle tracce ferroviarie e attualmente è controllata dagli operatori del settore Sbb, Bls, Sob e dall’Unione dei Trasporti Pubblici, verrà trasferita ad un ente pubblico direttamente controllato dalla Confederazione, che avrà il compito di garantirne la condotta super partesInoltre, la Commissione d’arbitrato in materia ferroviaria (Caf), organo che ha il compito di dirimere le controversie in tema di discriminazione nell’accesso alla rete, sarà dotata di maggiori poteri di controllo e garanzia.

Una questione che a breve dovrà essere affrontata anche in Italia, dove recentemente sono stati nominati i nuovi vertici del gruppo Ferrovie dello Stato, che controlla sia l’operatore Trenitalia (attivo nel trasporto passeggeri e in quello di merci, tramite Trenitalia Cargo) che Rfi (Rete Ferroviaria Italiana), proprietaria della rete fisica dei binari. Al posto di Mauro Moretti – da poco approdato alla guida di Finmeccanica – è stato nominato amministratore delegato di Fs Michele Mario Elia, ex ad proprio di Rfi, anche lui imputato come il predecessore nel processo per la strage ferroviaria di Viareggio. Mentre presidente del consiglio di amministrazione del gruppo è Marcello Messori.

Elia ha ricevuto in eredità da Moretti un gruppo economicamente sano, che ha chiuso il bilancio 2013 con 8,3 miliardi di euro di fatturato (+1,2%) e un utile netto di 460 milioni di euro (+20,7%), ma che ancora deve affrontare una serie di questioni delicate, da quella dei pendolari alla gestione autonoma della rete infrastrutturale. Su questo versante, anche in Italia sembra profilarsi una soluzione analoga a quella elvetica: accantonato lo scorporo di Rfi dal gruppo Ferrovie dello Stato, dovrebbe toccare alla neonata Autorità di Regolazione dei Trasporto (con sede a Torino) vigilare sulla gestione dell’infrastruttura.

Nell’home page del sito dell’ente, tra i compiti, viene infatti precisamente esplicitato quello di “garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali”. L’unico problema, che potrebbe differenziare nettamente il caso nostrano da quello svizzero, riguarda le tempistiche: l’Autorità di Regolazione dei Trasporti è uno degli organi amministrativi indipendenti previsti quasi vent’anni fa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, ma è stata istituita soltanto nel 2011, con l’ art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), restando poi solo sulla carta per altri 2 anni.

La nomina del suo presidente – Andrea Camanzi, manager con una lunga esperienza in ambito di affari europei in aziende sia pubbliche che private – è infatti avvenuta con un decreto del Presidente della Repubblica datato 9 agosto 2013, mentre l’ente si è effettivamente insediato nella sua sede torinese il settembre seguente. Ma ancora non tutto sembra funzionare, se il Consiglio Europeo, nelle sue Raccomandazioni sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia pubblicate pochi giorni fa, ha sentito il bisogno di auspicare, mettendolo nero su bianco, che venga “garantita la pronta e piena operatività dell’Autorità di regolazione dei trasporti entro settembre 2014”, come uno dei provvedimenti necessari da adottarsi nel prossimo biennio. Per il momento, ricordano le autorità comunitarie nel report, “una buona parte dello staff operativo che dovrebbe far funzionare l’authority dei trasporti non è ancora stato reclutato”, mentre invece sarebbe fondamentale che l’ente dia al più presto un suo parare sul cosiddetto unbundling, ovvero la “separazione tra la gestione dell’infrastrutture ferroviaria e le operazioni di trasporti, cosa che avrebbe dovuto già realizzarsi e che è per’altro prevista nel programma di riforme del governo italiano”.

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